Il riarmo europeo non bussa direttamente alla porta delle partite IVA, ma rischia di entrare dalla finestra del debito pubblico. Più debito significa meno investimenti, meno crescita, meno opportunità. Dopo l’assicurazione per gli eventi catastrofali, ci preoccupiamo di crearli. Ci conviene davvero scegliere il warfare al welfare? È un cortocircuito logico di un’Europa alla deriva che, alimentata da paure ancestrali, non sa nemmeno fare i conti.
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Il riarmo europeo secondo von der Leyen
Dopo ottant’anni di amore, se non un divorzio, una “separazione in casa”. Con l’elezione di Donald Trump, circondato da tecno-oligarchi, il messaggio degli USA è chiaro: l’Ue si occupi della propria difesa, da sola. Il piano di Ursula von der Leyen, però, prevede qualcosa di diverso: nessun esercito comune europeo, ma 800 miliardi di investimenti entro 4 anni per rinforzare singolarmente gli eserciti dei 27 Paesi europei; una spesa senza precedenti dalla seconda guerra mondiale. Ciò basta al M5s, alla Lega e all’Alleanza Verdi e Sinistra per dirsi contrari.
La priorità non dovrebbe essere un nuovo ampliamento delle risorse, quanto un’ottimizzazione di quelle già stanziate, perché il riarmo europeo non è una novità. Come messo nero su bianco dall’Agenzia europea per la difesa (EDA), la spesa militare degli Stati Ue è in costante aumento dal 2014. Applicando i correttivi suggeriti dagli esperti Alessio Capacci, Carlo Cignarella e Carlo Cottarelli, l’Ue ha speso per le armi nel 2024 il 58% in più della Russia, nonostante l’arsenale non fosse stato eroso da alcuna guerra.
Guardando solo all’Italia, gli investimenti sono passati da 21,1 miliardi del 2019 ai 31,3 miliardi del 2023. Questo ha reso il Belpaese il sesto esportatore al mondo di armi e munizioni, registrando nell’ultimo quinquennio il +138% nell’export di armi, servendo Paesi come Israele ed Egitto.
Putin starebbe “buono” ad aspettare il ReArm?
Chi ha votato sì al riarmo all’Eurocamera – le delegazioni di Fratelli d’Italia, di Forza Italia e di metà del Pd che non ha accolto l’appello della segretaria Elly Schlein – crede davvero a un’emergenza militare dovuta a un possibile attacco russo? Sarebbe quantomeno ridicolo. Stando ai fatti, dalla data dell’invasione dell’Ucraina sono passati tre anni, senza una vittoria decisiva. Ammesso ci sia questo rischio, non sarebbe comunque giustificato l’intervento, a meno che non si creda in modo paradossale alla bontà di Putin – non proprio famoso per la sua nobiltà d’animo – di attendere gli anni necessari alla messa a punto del nostro esercito prima dell’invasione.
Tanto non credono all’ipotesi i meloniani, che hanno deciso contemporaneamente di astenersi sulla risoluzione dedicata al sostegno militare all’Ucraina, ad oggi “zona cuscinetto”. L’ennesima dimostrazione di fedeltà a Trump, ci sarà riconoscente?
Il peso del riarmo europeo per l’Italia non è sostenibile
Il piano ReArm Europe – che foraggerà nuovamente le casse degli Stati Uniti, nostri principali fornitori di armi – dovrà essere condotto dagli Stati a loro spese. All’Italia l’operazione potrebbe costare anche 30 miliardi, per il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti. Un intervento impossibile senza tagli alla spesa pubblica, su voci importanti come sanità e istruzione. Un’ulteriore beffa ai cittadini che pagano le tasse, a fronte di servizi sempre più scadenti.
La premier Meloni sostiene che bisogna puntare su strumenti europei comuni che non pesino sul debito degli Stati. Le ipotesi alternative, dunque, restano quelle dei contributi Ue a fondo perduto e della partecipazione del capitale privato. Risorse utili a ben altri tipi di investimenti, in un momento di crisi economica come questo.
Il dilemma del prigioniero
Che il riarmo europeo non sia l’unica via ce lo ha insegnato nel 1950 Albert William Truker. Il matematico canadese propose un problema alla teoria dei giochi – disciplina che studia modelli matematici di interazione strategica tra decisori razionali – noto come il “dilemma del prigioniero”. Questo presuppone l’esistenza di due criminali che, dopo essersi promessi di non collaborare con la polizia in caso di cattura, vengono arrestati.
Chiusi in celle diverse e interrogati, hanno tre opportunità, delle quali vengono messi al corrente individualmente: se uno dei due collabora e accusa l’altro, chi ha collaborato evita la pena, ma l’altro viene condannato a 7 anni di carcere; se entrambi si accusano vicendevolmente, vengono condannati entrambi a 6 anni; se nessuno dei due collabora, entrambi vengono condannati a una pena irrisoria solo per il porto abusivo d’armi.
La soluzione migliore è che nessuno dei due tradisca l’altro. Solo in assenza di informazioni si arriva al paradosso che la migliore strategia sia quella del tradimento. Quest’ultima opzione rappresenta dunque il cosiddetto equilibrio di Nash, che si realizza quando nessuno dei giocatori riesce a migliorare unilateralmente il proprio comportamento e occorre l’azione coordinata.
Il dilemma spiega la corsa agli armamenti durante la guerra fredda. Per USA e URSS – e per il mondo intero – sarebbe stato certamente più conveniente il disarmo unilaterale, ma nell’ipotesi del tradimento dell’altro hanno preferito la corsa agli armamenti.
La storia si ripete e si ripetono i “giochi”, con la previsione delle mosse degli avversari sulla base dei precedenti. Il segreto per liberare “il prigioniero” dal suo dilemma, per dirlo alla Nash, sarebbe quello di individuare un nuovo punto di equilibrio che consenta a tutti i giocatori di massimizzare le possibilità individuali di successo.
Il contesto influenza le opportunità e le scelte dei cittadini
La gente non si lascia prendere in giro. Crea aspettative razionali sul futuro sulla base delle informazioni disponibili, anticipa le possibili conseguenze delle scelte dei governi e adatta il proprio comportamento.
Come convincerla a investire su nuovi progetti imprenditoriali, che possano offrire nuovi posti di lavoro, in un clima di tale incertezza? Come pensare di spingerla ad acquisire nuove competenze per trovare soluzioni innovative e incentivarla a metter su famiglia, quando ventila persino l’ipotesi di una nuova guerra mondiale? Come si può legittimare la crescente pressione fiscale alla luce di nuovi possibili tagli sui servizi o ulteriori debiti?
Senza fiducia nel futuro, senza la lucidità mentale che si può avere in un clima di pace, non può esserci crescita economica. È adesso che serve la “resilienza” che ci si proponeva di mettere in atto nel post Covid, per una ripresa che possa innanzitutto essere foriera di serenità.
brava