Quali sono le cause della crisi economica in Germania e quali sono le ultime notizie sulla recessione tedesca? La “locomotiva d’Europa” si è fermata nel 2023 per diverse ragioni che, con il voto federale del 23 febbraio, potrebbero dare il via a nuovi scenari. L’attuale depressione economica si intreccia infatti con le difficoltà politiche del governo socialdemocratico di Olaf Scholz, cancelliere che ha guidato il Paese nel periodo post-pandemia, nei tre anni di guerra russo-ucraina e nell’attuale fase di crisi del settore automotive. Le conseguenze potrebbero coinvolgere negativamente pure l’economia italiana.
Indice
- La crisi economica tedesca è anche politica
- Perché la frenata tedesca può incidere sull’economia italiana
- Un declino inaspettato dopo anni di crescita
- Gas russo, politiche “zero-Covid” e automotive: ecco perché la Germania è in crisi economica
- L’estrema destra tedesca ha una ricetta per la crisi economica?
La crisi economica tedesca è anche politica
La gestione poco efficace dell’approvvigionamento energetico, condizionato dallo stop al gas russo, unita alla già citata crisi dell’industria dell’auto, ha contribuito ad avviare e prolungare la recessione dell’economia tedesca.
In assenza di interventi correttivi incisivi e considerando “ingiustificato” questo nuovo contesto di incertezza, i tedeschi sembrano orientati a premiare anche l’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD), guidata da Alice Weidel, alle prossime elezioni federali. I tempi di Angela Merkel sembrano lontani.
Perché Scholz non è Merkel
Per capire la crisi economica tedesca, è necessario chiedersi perché Olaf Scholz non sia riuscito a mostrare la stessa forza politica del suo predecessore. Secondo Federico Niglia, professore di Storia delle relazioni internazionali all’Università degli Stranieri di Perugia, l’attuale cancelliere paga un cambio radicale di scenario politico.
“Merkel è stata la cancelliera che ha rotto i tradizionali confini tra i partiti, adottando una strategia politica che le ha permesso di integrare temi e priorità tipici della SPD e dei liberali, rafforzando così il suo consenso. Questa tattica si è esaurita con la fine del suo mandato e si è rivelata irripetibile – ha spiegato Niglia a Partitaiva.it -. Olaf Scholz non ha potuto seguire le sue orme, trovandosi in un contesto politico profondamente cambiato, con confini tra le forze di governo ormai ridefiniti. Il suo esecutivo era nato con l’idea che una socialdemocrazia sufficientemente trainante potesse unire le diverse anime della coalizione, fungendo da fulcro del sistema, ma la stessa alleanza ha preso una direzione diversa e per due motivi principali”.
Economia tedesca in crisi: le “grandi alleanze” non funzionano più
La crisi politica che sta attraversando il governo tedesco dipende da dinamiche interne alla coalizione e dalle difficoltà dei socialdemocratici nel mantenere una leadership chiara e coesa.
“L’incapacità della SPD di diventare perno di sintesi, mantenendo al contempo una chiara identità politica, è il primo motivo di debolezza – ha aggiunto il professore –. Scholz ha cercato di mediare tra le diverse componenti della coalizione, ma questo sforzo ha avuto un costo: la progressiva perdita di visibilità e incisività della proposta politica del suo partito”.
Le tensioni tra le diverse anime dell’esecutivo e questa fragilità hanno progressivamente indebolito sia l’azione di governo che la posizione del cancelliere, contribuendo al clima di incertezza politica ed economica che la Germania sta vivendo.
“Il secondo motivo è legato alla natura stessa della grande coalizione – ha precisato il docente – . Nella storia tedesca pre-muro di Berlino, questo tipo di alleanza era considerata una soluzione transitoria. Tuttavia, complice anche la lunga era Merkel, la grande coalizione è diventata sempre più una formula di ripiego, scelta quando non è stato possibile formare un’alleanza forte e coesa. Questo assetto ha finito per logorare il governo dall’interno, creando un effetto che si riflette direttamente sulla figura del cancelliere Scholz e sul partito che rappresenta”.
Perché la frenata tedesca può incidere sull’economia italiana
Già nel 2015, Confindustria aveva iniziato ad analizzare gli scenari di una possibile crisi economica tedesca. La Germania rappresenta infatti il principale partner commerciale dell’Italia, con un interscambio particolarmente rilevante. Il valore dei beni esportati verso il mercato tedesco equivale al 12,5% del totale dell’export italiano, ovvero circa un quarto di tutte le esportazioni italiane destinate all’Unione europea.
Questo dato riflette una stretta integrazione tra i due sistemi produttivi, che si sviluppa all’interno delle catene globali del valore. L’Italia gioca un ruolo fondamentale come fornitore di prodotti intermedi e beni strumentali per le aziende tedesche, contribuendo significativamente alla loro capacità di produzione.
Di conseguenza, ha spiegato Confindustria, qualsiasi rallentamento dell’industria manifatturiera in Germania ha un impatto diretto sulle esportazioni italiane, limitandone in qualche modo la crescita.
Il Nord Italia, la zona più colpita dalla recessione tedesca
Ancora secondo Confindustria, questo scenario è particolarmente critico per alcune aree italiane, come i distretti industriali del Nord Italia, dove il settore metalmeccanico è strettamente legato alla domanda tedesca.
La riduzione dell’export – che nel 2017 rappresentava il 26% del PIL italiano – rischia di avere conseguenze negative sull’andamento economico dell’anno in corso, incidendo sulla crescita complessiva del Paese. Nonostante ciò, Confindustria ha messo in guardia dal cedere allo Schadenfreude, cioè la soddisfazione per le difficoltà altrui. In questo caso verso la crisi economica tedesca.
“A meno di un deciso miglioramento dello scenario internazionale – si legge in una nota dell’associazione degli industriali – l’export italiano, in queste condizioni, sembra destinato a rallentare”.
Un declino inaspettato dopo anni di crescita
Tra il 2010 e il 2019, la Germania ha trainato l’economia dell’Eurozona, con un PIL in crescita del 16,9%, ben oltre il +1% dell’Italia. Questo successo è stato alimentato dall’espansione dell’export e da riforme del mercato del lavoro che hanno aumentato la competitività industriale.
Il peso delle esportazioni sul PIL tedesco è passato dal 30,8% nel 2000 al 47,1% nel 2019, mentre l’Italia si è fermata al 31,6%. Dal 2020, però, la Germania ha mostrato segnali di debolezza. Dopo aver recuperato i livelli pre-pandemia solo all’inizio del 2022, l’economia è nuovamente rallentata. La recessione del biennio 2022-2023 è stata guidata principalmente dal calo dei consumi interni.
Gli investimenti hanno tenuto, mentre l’export ha subito una leggera contrazione, parzialmente compensata dal calo delle importazioni.
Gas russo, politiche “zero-Covid” e automotive: ecco perché la Germania è in crisi economica
Uno dei principali fattori che ha spinto la Germania in recessione è stato lo shock energetico derivato dall’invasione russa dell’Ucraina. Fortemente dipendente dal gas russo – il 57% delle importazioni di gas nel 2021 contro il 38% dell’Italia – lo stato tedesco ha subito un impatto maggiore rispetto ad altri Paesi europei.
L’aumento dei prezzi dell’energia ha colpito duramente i settori “energivori”, riducendo la produzione del 19,6% tra l’inizio del 2022 e agosto 2023. Anche il rallentamento dell’economia cinese, legato alle politiche “zero-Covid”, ha danneggiato la Germania, più esposta alle esportazioni verso la Cina rispetto ad altri Paesi dell’Eurozona.
Infine, la crisi dell’industria dell’auto – settore simbolo dell’economia tedesca – ha ulteriormente aggravato la situazione. “In Germania, Volkswagen è il simbolo del miracolo tedesco e non solo una grande multinazionale” ha ricordato il professore Federico Niglia.
L’estrema destra tedesca ha una ricetta per la crisi economica?
Nel programma elettorale degli ultranazionalisti di AfD non sembrano esserci proposte di politica economica in grado di rispondere alla recessione tedesca. Per lo meno in questa fase storica.
“Siamo ancora nella fase della pura propaganda politica – ha analizzato il professor Niglia –. Si intravede un nazionalismo di fondo, ma applicare un nazionalismo puro alla Germania è estremamente complesso, soprattutto per il suo modello economico. L’economia tedesca è export-led e basata su catene di valore transnazionali: molti beni tedeschi vengono prodotti all’estero.”
Per il docente la Germania non potrebbe seguire un approccio simile a quello di Donald Trump senza incorrere in enormi contraddizioni. La tutela dell’interesse tedesco non passerebbe dalla chiusura, ma attraverso un’apertura e una crescente europeizzazione della sua economia. “Un asse fondamentale – ha concluso Niglia – è quello con l’Italia. Insieme, Germania e Italia, rappresentano la parte più rilevante dei rapporti commerciali tra l’Unione Europea e gli Stati Uniti”.
Chiara Borzì
Giornalista