- Con la Legge di Bilancio 2025 verrà estesa la web tax, ovvero una tassa specifica sui ricavi percepiti dalla fornitura di servizi digitali di diverso tipo, con aliquota al 3%.
- L’introduzione di questa nuova imposta ha provocato non poche perplessità, soprattutto per la volontà di eliminare il tetto minimo di 750 milioni di euro di ricavi per la sua applicazione.
- Una recente proposta di revisione punta a escludere i media tradizionali inclusa la RAI, le testate giornalistiche online, le TV e le radio, dall’ambito della tassa.
Ha fatto scalpore la volontà del governo italiano di introdurre una web tax estesa a tutte le imprese che operano nel digitale fornendo alcuni servizi specifici. La novità, da includere nella Legge di Bilancio 2025, consiste in una tassa con aliquota al 3% sui ricavi derivati da servizi digitali basati sulla pubblicità online, sull’accesso alle piattaforme web e sulla trasmissione di dati.
Secondo le volontà del governo, la tassa verrebbe applicata a tutti i soggetti che operano in questi ambiti, ovvero non sarebbe limitata solamente alle multinazionali e alle grandi aziende, che percepiscono almeno 750 milioni di euro di ricavi. La novità ha sollevato molte critiche, ritenuta da molti come l’ennesimo adempimento obbligatorio che comporta una spesa in denaro per le imprese.
Tra gli emendamenti previsti per la manovra 2025 viene proposta in questi giorni una revisione della web tax, che potrebbe escludere dall’ambito di applicazione TV, radio, media tradizionali e testate giornalistiche online. Vediamo nel dettaglio chi dovrà versare la tassa e chi no.
Indice
Cos’è la web tax e come funziona
Al momento intorno a questa nuova tassa possiamo solamente fare delle ipotesi, per cui va ricordato che ancora non vi sono conferme definitive, che arriveranno con la pubblicazione del testo ufficiale della Legge di Bilancio 2025 approvato a seguito degli emendamenti.
La web tax però, così come è stata presentata nelle bozze del testo, ha l’obiettivo di rendere più equa l’imposizione fiscale nel paese, in particolare verso le imprese che operano nel settore digitale. Questa tassa era già stata introdotta per i colossi del digitale1, con ricavi superiori a 750 milioni di euro, con aliquota al 3%.
Con la manovra 2025 spicca la volontà di estendere tale obbligo a tutte le imprese del digitale, entro certi requisiti e in determinati ambiti. In particolare l’articolo 4 della bozza della Legge di Bilancio 2025 contiene l’intervento volto a eliminare il requisito reddituale:
“Sono soggetti passivi dell’imposta sui servizi digitali i soggetti esercenti attività d’impresa che realizzano ricavi derivanti da servizi digitali di cui al comma 37 nel territorio dello Stato.”
Andando a vedere nello specifico la Legge 30 dicembre 2018, n. 1452 a cui la manovra si riferisce, qui viene eliminato il comma 36 con il limite minimo di ricavi e si rimanda al comma 37 che indica chi sono i soggetti a cui è applicata la tassa:
- coloro che veicolano pubblicità agli utenti su un’interfaccia digitale;
- soggetti che mettono a disposizione un’interfaccia digitale che permette agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche con lo scopo di facilitare la fornitura di beni o servizi;
- chi propone la trasmissione di dati raccolti da utenti da un’interfaccia digitale.
Attualmente questi sono i destinatari della tassa, ma venendo meno il limite di ricavi, raggiungerà con la manovra 2025 tutte le imprese che operano nel digitale in questi ambiti. Ricordiamo che lo stesso articolo 4 della bozza della manovra stabilisce l’aumento dell’imposta sulle plusvalenze delle criptoattività al 42% contro il 26% precedente.
Web tax: la revisione
Come è facile intuire, la novità ha fatto subito notizia, andando a coinvolgere un grande numero di imprese sul territorio italiano, anche di piccola dimensione. I timori sono quelli di un onere aggiuntivo che va a colpire un intero settore.
Le parti politiche stanno avanzando diverse proposte per modificare questa tassa, in primis con l’ipotesi, la più ottimistica, di ripristinare un tetto minimo di ricavi per l’imposizione della tassa.
Inoltre una revisione interessante riguarda la possibile esenzione di alcune categorie di soggetti dalla web tax:
- media tradizionali e pubblici come TV e radio;
- operatori Rai, Mediaset e Sky;
- testate giornalistiche online registrate all’apposito Tribunale.
Questo emendamento potrebbe limitare imposizioni fiscali aggiuntive al settore dell’informazione e dell’intrattenimento. Si parla di realtà che lavorano verso un pubblico nazionale, ben diverse dalle multinazionali come Amazon, Meta o altre grosse aziende nel settore digitale.
Al momento ancora nulla è stato chiarito in modo definitivo, ma si attende una revisione sostanziale della web tax nell’ottica di tutelare il settore digitale italiano.
Web tax ed e-commerce: come funziona
La web tax, inizialmente pensata per operatori come Google, Meta e altri colossi del web, con la manovra 2025 rischia di colpire anche le piccole realtà italiane che operano con internet. In particolare ci si chiede se questa tassa al 3% coinvolgerà anche gli e-commerce, ovvero i portali di vendita di prodotti online.
Questo settore in particolare ha visto un’espansione notevole negli ultimi anni anche in Italia, con un giro di affari nel nostro paese di 38,6 miliardi di euro, considerando che dopo la pandemia diversi negozianti hanno deciso di utilizzare le piattaforme web per proporre i propri prodotti o servizi ad un pubblico più vasto e questa scelta spesso ha fatto la differenza sul mercato.
Una tassa su questo tipo di ricavi sicuramente spaventa tutti coloro che vendono online. Al momento ancora non è chiaro come saranno applicate le novità nel concreto, ma se la bozza della manovra verrà confermata per come si presenta attualmente, anche il settore dell’e-commerce ne sarebbe coinvolto e lo stesso vale per servizi di streaming online.
Questo però riguarderà coloro che mettono a disposizione le interfacce digitali su cui viene facilitata la fornitura di beni o servizi, ovvero colpendo le imprese che detengono le piattaforme. Non è ancora chiaro quale sarà l’impatto per i singoli negozianti che usano questi siti, per cui potrebbero arrivare dei rincari nel servizio finale.
Testate giornalistiche e blog: applicazione della web tax
Se l’emendamento appena presentato sarà confermato, la web tax non verrà applicata alle testate giornalistiche online. Saranno escluse quindi tutte quelle realtà che sono registrate al Tribunale di competenza e che hanno lo scopo di divulgare informazione libera.
Ricordiamo che il giornalismo oggi si è spostato di molto sulle piattaforme web e i ricavi di queste imprese sono generati soprattutto dalla pubblicità online. Il settore inoltre ha già imposte specifiche da versare, per cui una web tax aggiuntiva potrebbe danneggiare fortemente tutti gli operatori.
Per ciò che riguarda invece i blog, ovvero i siti che non sono registrati come testate ma creano contenuti digitali, ancora non è chiaro come verrà applicata (e se ci sarà) questa nuova tassa. Seguendo strettamente le indicazioni della legge sulla tassa digitale, verrebbero tassate nel momento in cui veicolano pubblicità agli utenti finali tramite piattaforma digitale.
Lo stesso vale per le imprese che detengono social network, ovvero strumenti che mettono in contatto le persone tramite web: anche queste realtà, percependo ricavi dalle pubblicità, attualmente sono tassate se hanno un guadagno di almeno 750 milioni di euro (pensiamo a Meta) e si rivolgono al territorio italiano. Il prossimo anno questo limite potrebbe scomparire.
- Imposta sui servizi digitali, Agenzia delle Entrate ↩︎
- Legge 30 dicembre 2018, n. 145, comma 37, Gazzetta Ufficiale ↩︎
Valeria Oggero
Giornalista