- Quando il lavoratore non si vede riconosciuti i suoi diritti dal datore di lavoro può ricorrere all’istituto giuridico della vertenza sindacale.
- Con la vertenza sindacale il sindacato si pone come mediatore per risolvere la problematica insorta tra lavoratore e datore di lavoro.
- Le vertenze sindacali possono essere aperte per diversi motivi, tra cui la mancata retribuzione, il mancato riconoscimento di permessi e ferie ai lavoratori che ne hanno diritto e tanto altro ancora.
Ci sono volte in cui il datore di lavoro non riconosce i diritti spettanti ai suoi dipendenti. I lavoratori, però, possono difendersi ricorrendo all’istituto giuridico noto come vertenza sindacale.
In Italia è preoccupante il numero di contenziosi che riguardano le controversie sul lavoro: sempre più lavoratori e datori di lavoro si ritrovano coinvolti in una vertenza sindacale.
Questo istituto giuridico avvia un meccanismo mediante il quale intervengono soggetti, quali i sindacati, che hanno il compito di “mediare” e porre rimedio alla problematica. Ma in quali casi è consentita la vertenza e come funziona? Vediamolo nella guida.
Indice
Vertenza sindacale: cos’è e significato
La vertenza sindacale, anche detta semplicemente “vertenza” o ancora “vertenza di lavoro”, è un istituto di diritto del lavoro. Si tratta di un atto con cui il lavoratore denuncia un comportamento scorretto tenuto e perpetrato dal datore di lavoro.
La vertenza di lavoro è, inoltre, un istituto giuridico la cui disciplina è contenuta all’interno dei Contratti Collettivi Nazionali del Lavoro, ossia i CCNL, oltre che nella disciplina legislativa vigente.
L’obiettivo delle vertenze è quello di creare una mediazione tra lavoratori e datori di lavoro allo scopo di risolvere la situazione illecita, senza arrivare, invece, ad una vera e propria causa di lavoro.
Ed è in questo contesto che interviene il sindacato che si pone come mediatore della diatriba. Questo, quindi, una volta accertata la sussistenza dell’illecito comportamento dell’azienda, si occuperà di convocare il datore di lavoro. L’obiettivo di tale azione è quello di risolvere la problematica in modo amichevole, quindi evitando una causa giudiziaria di lavoro.
Come funziona una vertenza sindacale
Generalmente il primo passo del lavoratore in caso di controversia con il datore è quello di esporgli la problematica, fino ad inviare una lettera di diffida. Questi avrà di fronte due alternative: accettare o meno le richieste del lavoratore.
Se quest’ultimo sceglie la seconda alternativa, non accettando di riconoscere i diritti del lavoratore, il dipendente potrà rivolgersi al sindacato di appartenenza.
Sarà compito del sindacato, quindi, verificare che il datore di lavoro stia realmente mantenendo un comportamento scorretto nei confronti del lavoratore. Per fare ciò, il sindacato prepara un dossier con la raccolta delle prove e delle testimonianze che avvalorano la posizione del lavoratore.
Per poter testimoniare, il soggetto deve rispettare i seguenti requisiti:
- essere maggiorenne;
- avere la capacità di agire;
- conoscere la lingua italiana;
- non deve essere interessato all’atto;
- non deve essere cieco, muto o sordo;
- non deve avere relazioni di parentela e affinità fino al terzo grado con i soggetti interessati.
Una volta che il dossier è pronto, il sindacato può quindi istruire la pratica, contattare il datore di lavoro e convocarlo all’ufficio del lavoro presso le Commissioni di conciliazione, istituite presso ciascuna Direzione provinciale del lavoro.
Durante l’incontro, il sindacato si adopera nella ricerca di un accordo e di una soluzione tra le parti. In questa fase, quindi, il collegio sindacale dovrà prendere in considerazione le motivazioni delle due parti. Una volta ascoltate le ragioni di datore di lavoro e lavoratori, il collegio propone una soluzione.
Se la soluzione proposta viene rifiutata dalle parti, il collegio sindacale avrà il compito di trasmettere la proposta avanzata al giudice del lavoro, in quanto sarà fondamentale nella fase di valutazione della sentenza. Inoltre, il sindacato dovrà seguire il lavoratore per tutta la durata della causa e le fasi processuali.
La richiesta di conciliazione
La richiesta di conciliazione deve essere sottoscritta dall’istante e presentata a mano o, in alternativa, spedita con raccomandata a/r.
La richiesta di conciliazione, per essere valida, deve contenere obbligatoriamente i seguenti elementi:
- i dati dell’istante e del datore di lavoro;
- il luogo del rapporto di lavoro;
- il domicilio in cui il lavoratore intende ricevere le comunicazioni relative alla procedura;
- i fatti e le ragioni per cui il lavoratore ha aperto la vertenza.
Quando è consentita la vertenza sindacale
Le vertenze sindacali possono essere aperte per una serie di circostanze in cui il datore di lavoro non rispetta i diritti spettanti ai lavoratori dipendenti.
Un esempio può essere quello in cui il datore di lavoro non riconosce gli emolumenti ai suoi dipendenti, o le indennità spettanti, o ancora le ferie e i permessi. Altra fattispecie per cui è possibile ricorrere all’istituto giuridico è la richiesta, da parte del datore di lavoro, di firmare il foglio di dimissioni senza la data, le così dette “dimissioni in bianco”.
È anche consentito ricorrere alla vertenza in caso di mobbing, demansionamento, discriminazioni sociali, straordinari non riconosciuti e così via.
In questi casi, quindi, la legge permette ai lavoratori di ricorrere ai sindacati. Si tratta, infatti, di fattispecie per cui l’ordinamento consente di aprire delle cause in tribunale. Tuttavia, con le vertenze sindacali è possibile raggiungere accordi più vantaggiosi per lavoratori e datori di lavoro e in tempi più brevi.
Infatti, questo istituto permette di evitare di avviare quei meccanismi burocratici che richiedono tempi molto lunghi prima di raggiungere un risultato vantaggioso per l’una o per l’altra parte.
Vertenza sindacale: cosa rischia il datore di lavoro
In caso di vertenza sindacale, il datore di lavoro che accetta le proposte avanzate dal collegio sindacale, è tenuto a mantenere quanto stabilito e rispettare le condizioni pattuite con i lavoratori.
Se, al contrario, il datore di lavoro rifiuta la proposta del sindacato, se ha effettivamente commesso un illecito, rischia le pene previste dall’ordinamento. Infatti, in tal caso la sentenza dipenderà dal giudice del lavoro.
Potrebbe, quindi, essere condannato al pagamento di una sanzione di tipo amministrativo oltre al pagamento di stipendi, indennità e quant’altro non riconosciuti e contestati dal lavoratore.
I tempi per la vertenza sindacale
Per quanto riguarda la prescrizione della vertenza, generalmente si parla di un periodo di 5 anni. Il lavoratore può infatti chiedere il supporto dei sindacati sia durante il lavoro che quando questo è terminato, ovvero successivamente. I diritti da far valere con la vertenza vanno in prescrizione nel seguente modo:
- 5 anni di prescrizione: nel caso di diritti collegati alla retribuzione, al versamento dei contributi, tfr o similari;
- 10 anni di prescrizione: nel caso di omissione contributiva, violazione del contratto, o mancata applicazione del diritto ad una qualifica maggiore.
È possibile ricorrere all’istituto in qualsiasi momento, indipendentemente dal rapporto di lavoro. I lavoratori, tuttavia, devono agire per tempo per vedere riconosciuti i propri diritti. Per tale motivo è consigliabile, per richiedere le proprie spettanze, procedere tempestivamente e non agire dopo i sei mesi.
Per contestare un licenziamento, invece, è consigliabile agire entro 60 giorni dal ricevimento della lettera. Ricordiamo, inoltre, che è fondamentale conservare tutta la documentazione inerente il lavoro.
Quanto costa la vertenza sindacale
Uno dei principali vantaggi delle vertenze sindacali è il risparmio sui costi sostenuti in caso di cause di lavoro in tribunale.
Infatti, le organizzazione dei lavoratori generalmente offrono diversi servizi in modo completamente gratuito. Tuttavia, il requisito principale per potervi ricorrere a titolo gratuito è indispensabile prima di tutto essere iscritti al sindacato. E questo passaggio può quindi comportare delle spese iniziali per il lavoratore.
Nel caso di vertenza sindacale può essere richiesto un pagamento legato alla pratica. Se invece ci si rivolge ad un avvocato, i costi possono salire notevolmente.
Vertenza sindacale – Domande frequenti
La vertenza sindacale può essere aperta in ogni momento se il lavoratore dipendente non vede rispettati i suoi diritti dal datore di lavoro. Può avvenire, ad esempio, in caso di mancata remunerazione o riconoscimento di straordinari o indennità, mobbing e così via.
Con la vertenza sindacale il lavoratore denuncia il comportamento scorretto del datore di lavoro al sindacato di appartenenza. Quest’ultimo convoca il datore di lavoro e propone un accordo bonario. Se non viene accettato si procede con un processo civile dinnanzi ad un giudice del lavoro.
Per gli iscritti al sindacato, la vertenza è a titolo gratuito. Il sindacato può chiedere al lavoratore solamente di sostenere alcune spese relative alla pratica.
Sì, è possibile agire con una vertenza sindacale sia durante il periodo di lavoro sia dopo la sua conclusione, anche con dimissioni volontarie. Scopri qui come funziona.
Il lavoratore tramite vertenza sindacale può ottenere importanti risultati, a seguito del mancato rispetto di diritti sul lavoro. Ma la situazione può anche concludersi con la ragione del datore di lavoro. Tuttavia, successivamente ad un’azione di questo tipo, il lavoratore rischia l’incrinarsi dei rapporti di lavoro.
Il datore può di fatto opporsi al tentativo di riconciliazione portato avanti tramite vertenza sindacale, per cui potrebbe essere necessario rivolgersi ad un avvocato.
Buongiorno , a fine febbraio mi sono licenziata per giusta causa per he da settembre non ricevevo gli stipendi , ho fatto richiesta per la naspi ma mi chiedo una vertenza o denuncia potete aiutarmi ??
Buongiorno,
dovrebbe contattare un avvocato per attivare il meccanismo, quantomeno, della diffida.
Grazie per averci scritto
Buongiorno sono Angela lavoro da quando ne avevo 16,presso un azienda di crotone…da 29 anni..adesso ne ho 45 ma giorno 9 gennaio ho lasciato il lavoro e da premettere che non ero assunta…ho chiesto bonariamente di avre qualcosa ma mi è stato risposto che non mi convalidano i 29 anni passati ma bensì solo i 18 mesi da quando è entrato il figlio…Io ho lavorato per tutti questi anni sotto un unico titolare che era il.padre e che adesso non mi tocca quasi nulla secondo loro..vorrei sapere se è vero ..se mi conviene affrontare qualcosa..
Buongiorno,
la situazione appare complessa e andrebbe approfondita con una attività di controllo documentale su paghe e TFR.
Grazie per averci scritto