- L’Italia si trova più in basso rispetto alla media europea per utilizzo del lavoro in smart working, con il 4,4% dei lavoratori impiegati da casa.
- In testa alla classifica c’è la Finlandia, con il 22,4% dei lavoratori che svolge mansioni da remoto rispetto al totale complessivo.
- Una delle cause della percentuale così bassa per l’Italia è da ricondurre alla scomparsa di agevolazioni e semplificazioni per applicare il lavoro agile.
Lo smart working, per quanto possa essere attrattivo per molte aziende e lavoratori, in Italia ne coinvolge solamente una piccola parte, con numeri nettamente inferiori rispetto agli altri paesi europei. Nel nostro paese infatti, secondo le ultime rilevazioni Eurostat1, solo il 4,4% dei lavoratori e delle lavoratrici è impiegato in modalità agile.
Questo dato si pone in contrasto con la media europea, del 9,0%, rivelando come anche su questo ambito il nostro paese abbia ancora del potenziale di crescita. Altri stati europei invece registrano trend del tutto opposti, con percentuali più elevate rispetto alla media UE. Tra questi spicca la Finlandia.
Indice
Smart working in UE: tutti i dati
L’Eurostat ha recentemente messo in luce il panorama europeo sullo smart working: negli ultimi anni in generale questa modalità di lavoro è stata coinvolta da una crescita esponenziale dovuta principalmente all’arrivo della pandemia. Nel continente infatti si è ricorso a questa modalità di lavoro per poter continuare nonostante la preoccupazione del Covid-19, le necessità di distanziamento e, soprattutto per l’Italia, i lockdown.
Andando a vedere la media europea, dal 2010 al 2023, si assiste prima di tutto ad un progressivo incremento della percentuale dei lavoratori impiegati da remoto, con un’impennata nel 2020 e nel 2021 e un lieve calo successivo.
Anno | Percentuale di lavoratori in smart working (media UE) |
2010 | 5,1% |
2011 | 5,5% |
2012 | 5,6% |
2013 | 4,9% |
2014 | 4,9% |
2015 | 4,9% |
2016 | 4,8% |
2017 | 5,2% |
2018 | 5,3% |
2019 | 5,5% |
2020 | 12,2% |
2021 | 13,5% |
2022 | 10,2% |
2023 | 9,0% |
Come è facile immaginare, il periodo pandemico ha visto coinvolta la maggiore percentuale di lavoratori da remoto nel continente europeo, arrivando al 13,5% di media nel 2021, pur con delle differenze di paese in paese.
Successivamente diverse imprese in tutta Europa hanno deciso di continuare a proporre lo smart working a causa dei suoi vantaggi specifici, ad esempio per la possibilità di risparmiare sull’affitto di uffici fisici e sul trasporto. Tuttavia dal termine della pandemia si assiste ad un calo generale nell’uso del lavoro da remoto.
Il paese in cui attualmente lo smart working rimane largamente applicato è la Finlandia, con una percentuale del 22,4% di lavoratrici e lavoratori impegnati a lavorare da casa. Segue l’Irlanda con il 22,2%, poi il Belgio con il 14,5% di lavoratori occupati da remoto.
Smart working in Italia: la discesa
Andando a vedere il nostro paese, dal 2010 si trova sotto la media europea per numero di lavoratori impiegati a lavorare da remoto. Anche in Italia si è assistito ad un incremento dovuto all’arrivo della pandemia, con un picco al 12,3% del 2020.
Il nostro paese quindi si è sempre trovato ad applicare il lavoro agile in misura minore rispetto ad altri stati europei, tuttavia nel momento attuale si assiste ad una discesa notevole, principalmente correlata alla scomparsa di metodi di assegnazione del lavoro da remoto semplificati.
Anno | Percentuale di lavoratori in smart working in Italia |
2010 | 3,1% |
2011 | 3,0% |
2012 | 3,3% |
2013 | 3,1% |
2014 | 3,2% |
2015 | 3,4% |
2016 | 3,3% |
2017 | 3,5% |
2018 | 3,6% |
2019 | 3,6% |
2020 | 12,3% |
2021 | 8,3% |
2022 | 5,2% |
2023 | 4,4% |
Attualmente il nostro paese registra un calo non indifferente dell’applicazione del lavoro in smart rispetto agli ultimi anni e probabilmente questa discesa si verificherà anche per il 2024, tenendo in considerazione che non è più possibile scegliere l’opzione del lavoro da remoto in modalità semplificata.
Nel 2023 la percentuale italiana era ben al di sotto della media UE, con un 4,4% di lavoratori e lavoratrici impiegati da remoto contro il 9,0% di media europea. Cerchiamo di capire quali sono le cause di questo gap così marcato tra l’Italia e altri paesi europei.
Smart working in Italia: lo stop alle semplificazioni
Con il ritorno al lavoro in presenza dopo la pandemia e la scomparsa delle semplificazioni contrattuali per applicare tale modalità, oggi chi lavora da casa in Italia è una minoranza. Questa modalità quindi è diventata un’opzione che le aziende possono scegliere, non è più una necessità.
Negli scorsi anni per facilitare l’applicazione dello smart working per i lavoratori, il governo aveva introdotto la modalità semplificata, ovvero senza la necessità di un accordo diretto tra datore di lavoro e dipendente. A partire dal 1 aprile 2024 le cose sono cambiate: le imprese che intendono optare per questa soluzione devono contrattualizzare il tutto tramite un accordo specifico.
Nei primi mesi del 2024 invece questa modalità è stata ancora applicata in modo semplificato per le categorie di lavoratori ritenute più svantaggiate, ovvero coloro che hanno figli sotto i 14 anni di età e i soggetti fragili per patologie pregresse. Da aprile questo viene escluso per qualsiasi lavoratore o lavoratrice.
Oggi le imprese per procedere devono comunque dare priorità a queste categorie per applicare lo smart working, tuttavia è obbligatorio un accordo specifico che delinei le modalità di svolgimento del lavoro e le regole che lo organizzano.
Lo smart working nelle imprese italiane
Quante imprese italiane decidono di applicare lo smart working oggi? Come ha rilevato il Politecnico di Milano in una ricerca del 20232, sono soprattutto le grandi aziende a utilizzare questa forma di lavoro, con circa 1,84 milioni di smart worker.
Le cose cambiano di molto se si guardano le piccole aziende, ovvero le PMI che costituiscono la grande fetta imprenditoriale del paese. Qui lo smart working viene preso in considerazione solamente come soluzione a momenti di emergenza e non come metodo strutturale.
Ricordiamo che è possibile lavorare da remoto soprattutto se sono coinvolte determinate figure professionali o mansioni. Non tutte le attività infatti si possono svolgere da casa, mentre lavori in ambito informatico, amministrativo, di gestione di dati e così via possono incontrare facilmente la modalità agile.
Un altro parametro, puramente culturale, da tenere presente, riguarda la predisposizione a questa metodologia di lavoro: per molte aziende equivale a non avere piena gestione dei dipendenti, nonostante i vantaggi che il lavoro agile indubbiamente porta con sé.
I vantaggi dello smart working
Lavorare in modalità agile porta con sé numerosi vantaggi, sia per i dipendenti che per gli autonomi, che per le aziende. Principalmente garantisce un risparmio economico non indifferente sia sull’affitto o l’acquisto di uno spazio da adibire ad ufficio, sia in termini di trasporti.
Si risparmia quindi di conseguenza sul tempo da impiegare per andare a lavoro: pensiamo alle ore passate nel traffico oppure sui mezzi pubblici ogni giorno. Di conseguenza il lavoro da remoto può far bene all’ambiente: come ha confermato un recente studio ENEA, questa modalità comporta minori emissioni di Co2, calcolate su 600 chilogrammi di anidride carbonica in meno all’anno per ogni lavoratore.
Nella media di emissioni calcolate su alcune delle principali città italiane, ogni lavoratore percorre 35 km al giorno, impiegando un’ora e 20 minuti. Da qui è facile intuire qual è il beneficio per l’ambiente del lavoro agile, in termini di emissioni.
Lo smart working nelle imprese nel futuro
Secondo le previsioni dell’Osservatorio di Milano, nel futuro lo smart working verrà mantenuto principalmente dalle grandi imprese.
Maggiore incertezza c’è nella pubblica amministrazione: molti non sanno come evolverà in futuro il lavoro agile. La titubanza, in questo caso, viene registrata nelle organizzazioni più piccole. Il 19% delle PMI prese in considerazione dallo studio non sa se in futuro sarà prevista l’applicazione dello smart working.
Nel 2023, oltre al lavoro agile, sono state sperimentate altre forme di flessibilità sul lavoro. Tra queste c’è anche la settimana corta, già adottata da altri paesi europei. Introdotta da meno di una grande azienda su dieci, la settimana corta è spesso un’esperienza pilota, limitata a brevi periodi.
Queste operazioni per lo più vengono condotte in alcuni paesi esteri, tuttavia le imprese italiane stanno prendendo in considerazione queste nuove prospettive.
Snart working – Domande frequenti
Il lavoro agile viene utilizzato principalmente dalle grandi aziende, mentre in misura minore coinvolge le PMI. Viene utilizzato in forma minore nella Pubblica Amministrazione.
Le grandi imprese hanno intenzione di continuare a farne uso. Qualche dubbio sorge in quelle più piccole. L’Italia è indietro rispetto alla media europea.
In Europa alcuni paesi hanno avviato sperimentazioni della settimana corta lavorativa: alcuni esempi sono Regno Unito, Islanda e Spagna.
- “Employed persons working from home as a percentage of the total employment, by sex, age and professional status”, Eurostat, ec.europa.eu ↩︎
- Lo Smart Working nel settore privato: i dati dell’Osservatorio, Politecnico di Milano ↩︎
Valeria Oggero
Giornalista