L’istituto del patto di famiglia ha trovato il suo riconoscimento nel 2006, con l’inserimento dell’art. 768 bis e seguenti cod. civ.
La rilevante novità, benché in dottrina non ci sia unanimità di vedute, è costituita dalla sua riconducibilità ad una effettiva deroga al regime dei patti successori previsti dall’art. 458 cod. civ.
In buona sostanza l’imprenditore (sia esso ditta individuale ovvero il titolare di quote di società di persone o di capitali) potrà assegnare ad uno o più eredi legittimari le quote-azioni di una società di capitali o l’azienda, con contestuale prestazione del consenso di tutti i legittimari attuali (soluzione certamente preferibile), senza che ciò comporti il rischio di una impugnazione dell’atto mediante l’azione di riduzione, una volta apertasi la successione.
A fronte di ciò, però, i legittimari non assegnatari, dovranno essere liquidati, per un importo pari alla loro quota di spettanza, in ragione del valore dell’azienda da calcolarsi (anche se la questione sembra essere dibattuta) sul valore del patrimonio netto.
Indice
Vincolo di controllo ed assegnazione in esenzione fiscale, articolo 3 comma 4-ter del TUS, ratio della normativa
Chiarito a grandi linee il funzionamento del patto di famiglia e la sua indubbia utilità relativa all’individuazione del soggetto più adatto per continuare l’esercizio dell’attività di impresa (e inibizione dell’azione di riduzione che potrebbe compromettere l’integrità dell’azienda).
La chiave di lettura che si suggerisce è quella – fatta propria dall’Agenzia – che prende spunto dalla sentenza della Corte Costituzionale del 23 giugno 2020, n. 120.
Per una migliore lettura si riporta il contenuto della norma indicata:
I trasferimenti, effettuati anche tramite i patti di famiglia di cui agli articoli 768 bis e seguenti del codice civile a favore dei discendenti e del coniuge, di aziende o rami di esse, di quote sociali e di azioni non sono soggetti all’imposta.
In caso di quote sociali e azioni di soggetti di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, il beneficio spetta limitatamente alle partecipazioni mediante le quali è acquisito o integrato il controllo ai sensi dell’articolo 2359, primo comma, numero 1), del codice civile. Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso.
Il mancato rispetto della condizione di cui al periodo precedente comporta la decadenza dal beneficio, il pagamento dell’imposta in misura ordinaria, della sanzione amministrativa prevista dall’articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e degli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta medesima avrebbe dovuto essere pagata.
Nella pronuncia i Giudici hanno cercato di ricostruire – in modo esaustivo – la ratio e la finalità della normativa del patto di famiglia, che giustifica la presenza delle agevolazioni fiscali previste per il caso in cui venga acquisito o integrato, da parte di uno o più legittimari (anche in comunione), il controllo di una società di capitali.
“Tale scopo della norma”, riporta la citata sentenza, “è innanzitutto evincibile dal suo tenore letterale che, da un lato, riguarda esclusivamente complessi aziendali, partecipazioni sociali e azioni; dall’altro, subordina la fruizione del beneficio a condizione che i discendenti proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo di almeno cinque anni”.
In particolare, secondo la Consulta:
L’agevolazione in esame, tuttavia, non è destinata direttamente all’impresa ma ad agevolarne la continuità a favore dei discendenti nel momento del passaggio generazionale. Da questo punto di vista va allora considerato che, in via più generale, l’esigenza di garantire la continuità aziendale nella giurisprudenza di questa Corte è stata valorizzata in particolare in quanto preordinata alla garanzia del diritto al lavoro, laddove il legislatore ha «inteso realizzare un intervento diretto a garantirne la continuità ed a permettere la conservazione del rilevante valore dell’azienda (costituita da una pluralità di beni e rapporti, di varia natura), al fine di scongiurare, in tal modo, anche una grave crisi occupazionale» (sentenza n. 270 del 2010); in nome quindi, tra l’altro, dell’«interesse costituzionalmente rilevante al mantenimento dei livelli occupazionali e [del] dovere delle istituzioni pubbliche di spiegare ogni sforzo in tal senso» (sentenza n. 85 del 2013).
In astratto, anche la finalità perseguita dall’agevolazione in oggetto, con riguardo all’aspetto inerente alla continuazione dell’attività produttiva, potrebbe rispondere all’esigenza di evitare che il peso delle imposte nel momento della successione possa generare difficoltà finanziarie tali da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’impresa, con una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico: del resto anche in altri ordinamenti sono previste forme analoghe di agevolazione, che peraltro raramente dispongono una esenzione totale, le quali si raccordano però a ben più gravosi carichi fiscali sulle successioni ”.
Ricadute fiscali prospettate dalla risposta n. 552/2021 dell’Agenzia dell’Entrate
L’Agenzia delle Entrate ha preso, per la prima volta, ferma posizione sulla realizzazione dell’operazione di assegnazione tramite patto, ai fini dell’esenzione (cfr. risposta 552/2021 AdE).
Ciò che merita rilievo, quindi, è la necessaria ed indispensabile presenza dell’oggetto principale della disposizione agevolativa in esame, vale a dire la sussistenza di un’azienda di famiglia, intesa quale realtà imprenditoriale produttiva meritevole di essere tutelata anche nella fase del suo passaggio generazionale, anche per evitare “una conseguente perdita dei posti di lavoro e ulteriori ripercussioni sul tessuto economico”.
Di contro, ne deriva che in assenza di una “azienda”, l’applicazione dell’agevolazione de qua violerebbe la ratio della disposizione medesima. Per coerenza sistematica con la descritta ratio agevolativa, quindi, anche i trasferimenti di partecipazioni di società che detengono il controllo dell’attività d’impresa possono fruire dell’esenzione in parola, poiché consentono al beneficiario della donazione di continuare a detenere, seppur indirettamente, il controllo dell’azienda familiare.
Alla luce di ciò, pertanto, è fondamentale – ai fini dell’applicazione dell’esenzione – proprio l’acquisizione o l’integrazione del controllo (diretto o indiretto) su una società (anche tramite patto di famiglia) comunque operativa, ossia che risponda al requisito di azienda da ricondursi a quel complesso di beni finalizzato allo scambio di beni e servizi (art. 2082 cod. civ.).
Indicazioni della Corte di Cassazione Sez. V, Ordinanza, 28.02.2023, n. 6082
La Suprema Corte ha di recente ribadito in modo chiaro l’orientamento costituzionalmente orientato come segue.
In materia di imposta di registro, l’agevolazione di cui all’art. 3, comma 4 ter, D.Lgs. n. 346 del 1990 va applicata a tutti i trasferimenti di partecipazioni in società di capitali che consentono all’avente causa di acquisire o integrare il controllo di una società che svolge effettivamente un’attività d’impresa, poiché solo a questa condizione il trasferimento del controllo di una società può ritenersi equivalente al trasferimento di un’azienda, e l’agevolazione apprezzabile in una prospettiva di salvaguardia dei livelli occupazionali.
L’esenzione di imposta non spetta in caso di donazione ai figli di partecipazioni sociali in società di mero godimento immobiliare, poiché il trasferimento del controllo di società, che non hanno un’effettiva ed operativa attività economica, non è equivalente al trasferimento di un’azienda.
Ne consegue che risulta esente da censure, in diritto, la sentenza con cui sia stata confermata la legittimità dell’applicazione dell’imposta di registro sul presupposto della mancata prova di un’attività economica della società oggetto del trasferimento di quote, non ricorrendo dunque il presupposto dell’attività d’impresa per l’applicazione dell’agevolazione.
Conclusioni
Alla luce dei dati sopra riportati, non sembra più possibile – nonostante molti professionisti in sede di consulenza abbiano percorso e percorrano questa via – l’applicazione dell’esenzione di cui all’articolo 3 comma 4-ter del TUS, qualora non venga trasferito tramite un patto di famiglia (o donazione) il controllo su di una azienda operativa esercitata anche in forma di società di capitali.
Quanto sopra riportato tende ad escludere l’esenzione nell’ipotesi in cui siano oggetto di trasferimento le quote o le azioni di una società Holding, che ad esempio non controlli in alcun modo un’azienda (nel caso in cui abbia come assets partecipazioni di minoranza sulla controllata o detenga solo immobili o denaro, tutti elementi che non integrano il controllo su di una entità produttiva).
Ciò non toglie, comunque, che la funzione civilistica del patto di famiglia, sopra esposta, potrà essere perseguita, anche con una partecipazione di minoranza, non operando però l’agevolazione prevista dalla normativa fiscale descritta.
Nunzio A.A.M. Distefano
Avvocato specializzato in diritto civile e societario