Medici di famiglia in calo, il settore pubblico non soddisfa: i motivi di una professione in crisi

Una professione che non attrae più, da cui i medici fuggono al raggiungimento dell'età minima pensionabile. Mentre i più giovani disertano i bandi per le nuove assunzioni. Ecco i motivi dell'insoddisfazione verso la medicina di base.

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  • I medici di famiglia fuggono dal settore pubblico, spesso al raggiungimento dell’età minima pensionabile.
  • Gli aspiranti medici più giovani disertano i bandi per le nuove assunzioni e rinunciano alle borse di studio.
  • Per diverse ragioni la professione non è più attrattiva: dai motivi economici a quelli organizzativi.

Via dal posto il prima possibile, senza attendere il limite massimo di età per il pensionamento e senza giovani disposti a rimpiazzarli: i medici di famiglia in Italia sono ormai figure quasi in estinzione.

Un fenomeno in aumento, quello dei medici che rinunciano al posto nel settore pubblico per mettersi in proprio, rivolgendosi sempre più spesso alle cooperative. Sempre più spesso si sceglie la strada della partita IVA e si parla di medici gettonisti, che percepiscono guadagni del tutto interessanti.

Per riflettere sull’andamento generale del settore della sanità pubblica nel nostro Paese, partiamo dai dati diffusi dalla Fondazione Gimbe1, con focus sul perché i partecipanti ai bandi per i medici scarseggiano e soprattutto sulla carenza di medici di famiglia, che ormai si sta diffondendo nelle varie regioni d’Italia.

Medici di famiglia nel settore pubblico: quadro generale

Il quadro generale della situazione riguardante i medici di famiglia in Italia è poco confortante. Alla base, criticità di tipo strutturale e normativo, ma anche l’invecchiamento della popolazione, il calo della natalità e una professione che è sempre meno attraente, agli occhi dei giovani che intraprendono un percorso accademico e si affacciano al mondo del lavoro.

Con oltre 5.500 posti vacanti e il 52% dei medici attuali sovraccarichi di pazienti, il sistema sanitario italiano sta affrontando una crisi significativa. Inoltre, la previsione che 7.300 medici andranno in pensione entro il 202, con la grande incognita del ricambio generazionale che incombe, aggrava ulteriormente il problema.

Sempre meno giovani scelgono di intraprendere questa professione: nel 2024, il 15% delle borse di studio è rimasto non assegnato, con picchi superiori al 40% in alcune regioni. La professione viene ora percepita come poco gratificante e molto impegnativa, e non piace più.

Questo potrebbe portare a una carenza ancora più grave di medici di famiglia, proprio quando la popolazione invecchia e i bisogni di assistenza aumentano, con il numero di over 80 che è triplicato negli ultimi 40 anni e che si ammala (nel 2023 gli over 65 erano oltre 14,2 milioni, di cui più della metà affetti da due o più malattie croniche).

Medici di famiglia, la stima delle carenze

Le ragioni per cui i medici di famiglia sono insoddisfatti in Italia sono numerose e non riguardano solo quelli di medicina generale ma anche i medici ospedalieri.

Calcoli di assegnazione inadeguati

Il quadro è complesso e va esaminato nella sua totalità, tenendo conto di diversi aspetti. Il punto da cui partire riguarda la scarsa consapevolezza del quadro demografico italiano, utile invece per definire il numero massimo di assistiti da assegnare a ogni medico di famiglia.

I criteri finora adottati non hanno tenuto conto né dell’evoluzione demografica nel nostro Paese, dagli anni ‘80 in poi, né delle proiezioni per i prossimi dieci anni.

calcolo demografico medici

Tenendo conto che:

  • la percentuale di residenti over 65 è quasi raddoppiata, passando dal 12,9% della popolazione (7,29 milioni) nel 1984 al 24% (14,18 milioni) nel 2024;
  • il numero degli over 80 è più che triplicato, dal 2,4% (1,4 milioni) del 1984 al 7,7% (4,5 milioni) nel 2024;
  • entro il 2034, gli over 65 rappresenteranno il 29,4% della popolazione (17,04 milioni) e gli over 80 saliranno al 9,1% (5,28 milioni); 
  • nel 2023, 11,1 milioni di over 65 (77,6%) erano affetti da almeno una malattia cronica, di cui 7,8 milioni (54,5%) con due o più cronicità.

Va da sé che il massimale fissato a 1.500 assistiti per ogni medico è oggi insostenibile da mantenere, tra l’altro considerando che la maggior parte dei pazienti sono sempre più anziani e malati, rendendo il carico di lavoro più considerevole.

In base al territorio di riferimento, è possibile scendere fino a una soglia minima incomprimibile di 1.000 assistiti per medico, che però l’ultimo accordo collettivo nazionale per i medici di medicina generale ha innalzato a 1.200, così da avere un parametro di riferimento nell’individuazione delle cosiddette zone carenti.

Ben evidentemente però si tratta di una modifica fine a se stessa, dal momento che “maschera” la carenza e quindi mostra la situazione come efficiente.

La saturazione invece è reale e questo comporta non solo un abbassamento della qualità dell’assistenza fornita ma è sempre più difficile avere un medico vicino casa (problema notevole soprattutto per gli anziani e le persone più fragili) ma compromette anche il diritto alla libera scelta del medico, da parte dell’assistito.

Stando ai trend evidenziati nel periodo 2019-2023, la riduzione dei medici di base si è verificata in tutte le regioni italiane, senza contare che ovunque si registra una percentuale elevata di medici che superano i 1.500 assistiti ciascuno.

medici regioni

Pensionamenti senza ricambio generazionale

La Fondazione Gimbe calcola in prospettiva quale sarà la situazione dei medici nel settore pubblico, nel 2027. Nonostante le carenze già appurate nel 2023, se tutti i medici all’attivo andassero in pensione non prima dei 70 anni e se tutte le borse di studio finanziate tra il 2021 e 2024 venissero realmente assegnate, allora il divario si colmerebbe.

Il punto è che si tratta di una situazione ideale ma le aspettative verranno certamente disattese. Ormai sono sempre più numerosi i medici che decidono di ritirarsi dall’esercizio della professione prima dei 70 anni e purtroppo il numero di iscritti ai percorsi di formazione, che completano il ciclo, diminuiscono progressivamente.

Almeno il 20% di chi intraprende gli studi abbandona in corso d’opera, mentre nel 2024 il 15% delle borse previste al concorso non sono state assegnate per mancanza di partecipanti.

Medicina di base: i motivi dell’insoddisfazione

Alla luce di queste informazioni, appare evidente come la professione di medico di medicina generale non sia più percepita come gratificante e prestigiosa, tutt’altro.

Il sovraccarico di lavoro, che deriva dal fornire assistenza a un numero troppo elevato di pazienti, demotiva e diventa fonte di stress, nel momento in cui si ha la consapevolezza di non poterli seguire con cura, a maggior ragione visto l’invecchiamento della popolazione e, in proporzione, l’aumento delle patologie da curare.

In parallelo, anche l’aspetto economico (percepito come non proporzionato) diventa centrale, nella decisione di non dedicarsi più alla professione. Non solo in confronto alla mole di lavoro da espletare, ma soprattutto delle responsabilità di cui farsi carico, nei confronti dei propri assistiti, specialmente se anziani e più fragili. 

I giovani pertanto non sono motivati nel partecipare ai bandi pubblici e sono attratti da specializzazioni che offrono maggiori opportunità di carriera e guadagno, formazione continua e un ambiente di lavoro più stimolante, magari anche all’estero.

Infine, la burocrazia imposta dal nostro sistema sanitario nazionale ha il suo peso sull’insoddisfazione generale che aleggia nel settore. La gestione delle pratiche assorbe tempo ed energie al professionista, riducendo di conseguenza quelli da dedicare ai pazienti.

La proposta del governo per i medici di base

Che sia urgente una riforma del settore appare ben evidente agli occhi di tutti, in primis per governo e regioni che ora avanzano una proposta e concordano nel voler inquadrare i medici di famiglia in qualità di dipendenti del sistema sanitario nazionale, non più dunque come professionisti in convenzione con lo stesso.

Infatti, è bene mettere in evidenza questo aspetto, il medico di medicina generale non è alle dipendenze dirette del SSN, bensì esercita la professione in convenzione con le ASL, le aziende sanitarie locali e il loro lavoro è regolato dall’accordo collettivo nazionale (ACN), dagli accordi integrativi regionali e dagli accordi attuativi aziendali, definiti a livello di singola ASL.

Sono a carico del medico di famiglia, le spese per la gestione dell’attività, la tassazione, i costi del personale di segreteria o delle pulizie, i compensi ai sostituti nel momento in cui si assentano per ferie o malattie.

Il punto è che la carenza dei medici di famiglia in Italia affonda le radici in un passato fatto di errori di programmazioni, politiche sindacali inadatte, tagli alla spesa pubblica che sono ricaduti essenzialmente sul personale sanitario.

Le soluzioni adottate sino a questo momento non hanno scalfito l’entità della crisi, ad esempio portando l’età pensionabile a 72 anni o concedendo la possibilità di arrivare a un massimo di 1.000 assistiti, per chi è iscritto al corso di formazione in medicina generale.

E di certo non basterà passare dalla convenzione al rapporto di dipendenza per risolvere la criticità in essere. Il primo passo dovrebbe essere quello di coinvolgere le parti in causa, il che a oggi non è ancora avvenuto. Bisognerebbe quindi valutare l’impatto che il passaggio al rapporto di dipendenza potrebbe generare sui medici e soprattutto fare in modo di ridare appeal alla professione, ad oggi sempre più scansata e svalutata.

  1. Comunicato stampa 4 marzo 2025, Fondazione Gimbe, gimbe.org ↩︎
Autore
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Natalia Piemontese

Giornalista

Giornalista pubblicista, sono laureata con Master in selezione e gestione delle Risorse Umane e specializzata in ricerca attiva del lavoro. Fondatrice dell'Academy di Mamma Che Brand, per l'empowerment femminile e la valorizzazione delle soft skills in particolare dopo la maternità, insegno le competenze digitali che servono per lavorare online.

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