- L’interior designer è un professionista specializzato nel campo del design e dell’arredamento, che ha conseguito studi professionali di architettura o di design.
- Gli interior designer possono collaborare con studi, presso aziende specializzate nel campo dell’arredamento e del design, oppure lavorare in proprio aprendo la Partita Iva.
- L’interior designer può collaborare anche senza aprire la Partita Iva, ma entro alcuni limiti e rispettando il carattere occasionale della prestazione.
Per lavorare nel settore dell’interior design è necessario aprire la Partita Iva? E in quali casi? Il settore del design si sta espandendo anno dopo anno, e sono sempre di più le persone che scelgono di intraprendere questo percorso. Ma il design si suddivide in numerose categorie, e si sta diffondendo l’interior design.
Questa branca del design si occupa dell’arredamento di interni curando ogni aspetto, dai materiali edili alla scelta dei mobili, fino ai colori e ai materiali utilizzati. Gli interior designer possono lavorare sia all’interno di un’azienda e sia attraverso collaborazioni da freelance.
In quest’ultimo caso, il designer può scegliere se lavorare senza aprire la Partita Iva, entro i limiti di fatturato e in base alla natura della collaborazione, oppure aprendo la Partita Iva.
Se sei interessato a questo settore e vuoi conoscere tutte le informazioni utili sulla Partita Iva per interior design, continua a leggere la guida, in cui parleremo della procedura per l’apertura della Partita Iva, della scelta del codice Ateco e della cassa previdenziale per interior designer.
Indice
Interior designer: di cosa si occupa
L’interior designer, anche detto arredatore d’interni, è una professione creativa che si occupa dell’organizzazione e l’arredamento di uno spazio. Di conseguenza, è incaricato della scelta dei mobili, dei colori, della posizione e dell’intensità delle luci, dei materiali e dei particolari che andranno a comporre lo spazio interno da arredare.
Per diventare interior designer non è previsto un solo percorso di studi. Infatti, si possono intraprendere le carriere universitarie di architettura, ma anche la facoltà di industrial design, oltre ad altri tipi di corsi privati e stage formativi.
L’interior designer può lavorare come dipendente, oppure come collaboratore esterno, quindi da freelance. Lavorando come libero professionista, l’interior designer sarà però tenuto ad aprire la Partita Iva nel caso di svolgimento dell’attività in modo continuativo.
Partita Iva interior design: come aprirla
Per lavorare in proprio come libero professionista, l’interior designer ha la necessità di aprire la Partita Iva che gli consente di versare le tasse e i contributi registrando la propria attività presso l’Agenzia delle Entrate.
L’apertura della Partita Iva per interior design è necessaria dal momento in cui l’attività professionale diventa continua e regolare, e non occasionale. Per aprire la Partita Iva bisogna semplicemente seguire alcuni passaggi. Si tratta di un iter burocratico piuttosto semplice, ma è anche possibile essere seguiti da un commercialista che effettuerà tutte le dovute operazioni.
Prima di tutto è necessario scegliere il codice Ateco e il regime fiscale più adatto all’attività. Poi si può procedere con la compilazione del modello AA9/12 con tutti i dati personali e relativi all’attività professionale, da consegnare all’Agenzia delle Entrate scegliendo uno dei seguenti modi:
- dal sito dell’Agenzia delle Entrate;
- presso l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate presentando un documento d’identità valido;
- inviando una raccomandata A/R con una copia del documento d’identità in corso di validità.
All’interno del modello AA9/12 bisogna indicare le seguenti informazioni:
- dati anagrafici del professionista;
- il regime fiscale scelto;
- la sede dell’attività professionale o, in alternativa, l’indirizzo di residenza;
- il codice Ateco;
- l’eventuale iscrizione al VIES per i rapporti commerciali all’estero.
L’apertura della Partita Iva deve avvenire almeno 30 giorni prima dell’inizio dell’attività.
Partita Iva interior design: codice Ateco
Il codice Ateco è indispensabile per la classificazione delle attività economiche svolte, e consiste in un codice alfanumerico che varia in base all’attività di riferimento. Nel caso dell’interior design, è possibile scegliere tra due differenti codici Ateco:
- 74.10.90 – Altre attività di design;
- 74.10.10 – Attività di design di moda e design industriale.
Tuttavia, in genere viene utilizzato il primo codice, 74.10.90, per le attività legate all’interior design. Va ricordato che è possibile aggiungere più codici per la stessa Partita Iva.
Con il codice Ateco 74.10.90, nel caso di regime forfettario, per il calcolo delle imposte è anche prevista una detrazione pari al 22%. Di conseguenza, il coefficiente di redditività è del 78% su cui viene poi calcolata l’imposta del 15% o del 5%.
Partita Iva interior design: regime contabile
Come abbiamo visto, durante la procedura di apertura della Partita Iva per interior designer è necessario scegliere il regime contabile più adatto. I regimi di contabilità disponibili sono tre, e sono:
- forfettario;
- semplificato;
- ordinario.
Ogni regime presenta vantaggi e svantaggi, e per scegliere quello più adatto bisogna prima di tutto analizzarne i requisiti. In base al regime contabile scelto variano anche i contributi e le imposte sul reddito da versare all’Erario regolarmente ogni anno di attività.
Regime forfettario
Il regime forfettario è quello più economico, e spesso viene scelto per quelle attività appena avviate che hanno fatturati contenuti. Infatti, i requisiti per accedere a questo regime contabile sono:
- non superare 65.000 euro annui di fatturato;
- non essere soci di una Srl;
- erogare fino a 20.000 euro massimi di costi per il personale (dipendente o collaboratore).
I vantaggi di questo regime fiscale sono i seguenti:
- nessun obbligo di applicazione dell’Iva in fattura;
- nessun obbligo di fatturazione elettronica con guadagni annui inferiori a 25.000 euro;
- nessuna registrazione delle fatture, ma solo numerazione e conservazione;
- tassazione con imposta sostitutiva sui redditi al 15% (5% per i primi 5 anni).
Tuttavia, il regime forfettario non prevede la possibilità di dedurre le spese legate alla professione o scaricare l’Iva.
Regime semplificato
Nel caso in cui non si riesce o non si desidera aderire al regime forfettario, un’alternativa è il regime semplificato. I requisiti di questo regime sono relativi al fatturato, e sono:
- essere una ditta individuale, libero professionista o società di persone (Sas o Snc);
- fatturare fino a un massimo di 400.000 euro annui per attività che effettuano prestazione di servizi;
- fatturare fino a 700.000 euro annui per le altre tipologie di attività.
I vantaggi di questo regime contabile sono i seguenti:
- possibilità di dedurre le spese relative all’attività;
- minori obblighi di contabilità rispetto al regime ordinario;
- principio di cassa: il reddito si determina su ciò che è stato effettivamente incassato.
Tuttavia, rispetto al regime forfettario, quello semplificato prevede l’obbligo di tenuta dei registri Iva, incassi e pagamenti, dei beni ammortizzabili oltre al libro unico del lavoro in caso di dipendenti. Inoltre, la tassazione sul reddito è più elevata, dal 23% al 43% secondo scaglioni IRPEF, in base al fatturato, ed è previsto l’obbligo di fattura elettronica e dell’applicazione dell’Iva in fattura.
Regime ordinario
L’ultimo regime contabile, il regime ordinario, è quello più complesso ed è dedicato a tutti quei soggetti e quelle attività che non possono (o non vogliono) aderire agli altri regimi contabili. Questo regime contabile prevede:
- obbligo di fattura elettronica e applicazione dell’Iva;
- versamento dell’Iva mensilmente o trimestralmente;
- comunicazione trimestrale dell’esterometro sulle fatture estere;
- compilazione del modello ISA per la verifica di ricavi e compensi;
- cpplicazione della ritenuta d’acconto anticipando parte delle tasse sulle fatture;
- conservazione delle scritture contabili (Registri Iva, Registro di incassi e pagamenti, Registro di beni ammortizzabili, Libro unico del lavoro sui dipendenti, Libro giornale, Libro inventario, Documenti di magazzino).
Uno dei vantaggi di questo regime contabile è la possibilità di accedere alle detrazioni e alle deduzioni per ridurre i costi e le imposte da pagare. Anche in questo caso l’imposta sul reddito è a scaglioni e parte dal 23% e arriva fino al 43%.
Partita Iva interior design: cassa previdenziale
Al momento dell’apertura della Partita Iva per interior design è necessario indicare anche la cassa previdenziale, ossia un ente che si occupa della riscossione e della gestione dei contributi previdenziali e assistenziali.
Quindi, l’interior designer, così come altre figure professionali, è tenuto a pagare annualmente non solo le imposte sui redditi, ma anche i contributi previdenziali alla cassa previdenziale. In questo modo si avrà l’accesso al trattamento pensionistico.
Nel caso della figura dell’interior designer, la cassa previdenziale a cui fare riferimento è la Gestione Separata INPS nella sezione dei liberi professionisti. Questo perché non esiste un albo professionale o un Ordine dedicato a questa figura. Tali contributi vengono calcolati in base al reddito. Per l’interior designer la percentuale è di circa il 26% sul fatturato.
Interior designer senza Partita Iva
L’interior designer, come abbiamo visto all’inizio della nostra guida, può anche iniziare a lavorare senza Partita Iva. Questo avviene nel caso in cui si lavori come dipendente in un’azienda, oppure tramite una collaborazione con le seguenti caratteristiche:
- non continuativa;
- non abituale;
- con fatturato annuo inferiore a €5.000 lordi nel caso di iscrizione a Gestione Separata INPS.
Se si rispettano queste caratteristiche è possibile collaborare attraverso la prestazione occasionale, ossia una collaborazione saltuaria limitata sia nel tempo che nei guadagni. In questo caso l’interior designer emetterà non la fattura ma una ricevuta che contenga i dati delle due parti, data e numero del documento, il guadagno, la ritenuta d’acconto ed il totale.
Invece, nel caso in cui la collaborazione sia continuativa e abituale, superando oppure no i 5.000 euro lordi di guadagno, è necessario aprire la Partita Iva.
Quanto guadagna un interior designer
Un interior designer può arrivare a guadagnare una cifra molto variabile, in base anche alla modalità di lavoro. Un designer dipendente può guadagnare uno stipendio che arriva anche a 1.500 euro al mese, mentre un interior designer freelance può guadagnare cifre anche superiori.
Generalmente il guadagno aumenta con l’aumentare dell’esperienza del professionista, per cui un interior designer alle prime armi può guadagnare circa 15.000 euro annui, mentre un professionista esperto può arrivare a guadagnare anche cifre annue di 70.000 euro.
Per questa professione ci sono importanti prospettive di crescita, per esempio aprendo un proprio studio di design e facendosi conoscere sul territorio.
Partita Iva interior design – Domande frequenti
I percorsi di studio disponibili per diventare interior designer sono tanti, dai corsi di architettura alle facoltà di design. Per diventare interior designer freelance è necessario aprire la Partita Iva seguendo i passaggi burocratici che abbiamo visto all’interno della guida.
Il codice Ateco di riferimento per la figura dell’interior designer è “74.10.90 – Altre attività di design”, in rari casi viene utilizzato il codice Ateco “74.10.10 – Attività di design di moda e design industriale”.
Il guadagno di un interior designer è molto variabile: come dipendente può arrivare a guadagnare circa 15.000 euro annui, mentre come freelance esperto è possibile anche arrivare a 70.000 euro annui. Scopri di più qui.
DOMANDA: Nel caso in cui esista una partita IVA solo per affitti brevi (55.20.51) che fa reddito (inferiore a 30.000euro) e lavoro principale (in regime forfetario, versando contributo INPS), è ancora possibile svolgere l’attività di interior designer (anche per un’azienda o un cliente privato) al di sotto del valore di 5.000 lordi annui?
Buongiorno,
in linea di principio sono due attività distinte e separate. Tuttavia, per dare una risposta esaustiva, sarebbe opportuno approfondire la situazione prospettata in concreto.
Grazie per averci scritto
provo ad essere piú precisa: puó cosistere partita iva per affitto breve e ritenuta d’acconto per altre attivitá? Grazie!
Buongiorno,
in linea di principio non ci sono divieti. Nella pratica il caso specifico deve essere approfondito e verificato.
Grazie per averci scritto