Partite IVA, la salute è un lusso?

Pensa come se non dovessi morire mai, fattura anche dal tuo letto d'ospedale e crea un fondo emergenze per saltare le liste d'attesa infinite del sistema sanitario nazionale. I liberi professionisti restano nel limbo sanitario: troppo "ricchi" per le esenzioni, troppo "poveri" per pagare un check up completo. Dov'è finito il nostro welfare?

Adv

Giornata mondiale della salute

Oggi è la Giornata mondiale della salute, quel diritto che la nostra Costituzione all’art. 32 tutela. C’è tanto da riflettere e ben poco da festeggiare: in Italia, dove il 10% della popolazione detiene il 60% della ricchezza nazionale, il portafogli continua a essere il termometro delle possibilità di cura. L’equità? Una chimera, soprattutto per molte partite IVA.

Quanto vale la salute di un cittadino italiano

Il Nord Italia non è solo più ricco, è pure più longevo: la speranza di vita lì supera gli 82 anni per gli uomini e gli 86 per le donne, contro gli 80 per gli uomini e 84 per le donne del Sud. Questo perché le regioni più ricche – che si concentrano al Nord – investono di più sulla sanità. La Lombardia, per esempio, ha una spesa pro capite che supera i mille euro, contro i 377 della Basilicata. Investire sulla sanità significa offrire prestazioni sanitarie e livelli assistenziali più alti; in sostanza, prevenire e curare le malattie.

I buchi del servizio sanitario nazionale vengono riempiti soltanto dal conto in banca personale, che non è certamente uguale per tutti. Nel 2023, 4,5 milioni di italiani hanno rinunciato alla prestazioni sanitarie necessarie. Considerando che un check up completo in clinica privata può costare fino a 1.500 euro, non è difficile comprendere le ragioni dei rinvii.

Partite IVA nel limbo

I liberi professionisti finiscono spesso nel limbo: troppo ricchi per l’esenzione ticket, troppo poveri per il privato. Per loro servirebbe almeno un “bonus prevenzione” sotto i 25 mila euro di reddito. Un riconoscimento del loro sforzo, della loro accettazione del rischio, dello spirito di abnegazione che richiede la loro scelta.

Esente o meno, qualsiasi cittadino italiano conosce bene l’imprevedibilità dei tempi d’attesa per ricevere una prestazione sanitaria, indipendentemente dal grado di urgenza indicato dal medico di famiglia, a cui dovrebbe corrispondere un limite massimo. Nonostante l’obbligo di fornire pubblicamente i dati, molte regioni non pubblicano i tempi d’attesa previsti.

Le segnalazioni sulle criticità raccolte da Cittadinanzattiva non risparmiano nessun comparto: pronto soccorso, servizio di prenotazione e accesso alle cure, assistenza protesica, medico di base e pediatra. Tantissime le denunce di pagamento di ticket elevatissimi e presunti errori nella pratica medica.

Seppure con non poche critiche sull’efficacia della misura, il Governo ha stanziato dei fondi per aiutare le Regioni allo smaltimento delle liste d’attesa. Il risultato lo ha ben espresso la Corte dei conti: molte regioni non hanno speso i fondi oppure li hanno utilizzati per coprire il disavanzo, lasciando spesso illegalmente chiuse le prenotazioni. Ma gli italiani hanno bisogno di qualcosa di più.

Il diritto alle cure e il diritto alla malattia

C’è bisogno di una nuova fase per la sanità, con il (vero) superamento del tetto di spesa, per valorizzare il personale sanitario, impedirne la fuga e garantire un accesso equo alle cure ai cittadini, che pagano le tasse per ricevere anche questo fondamentale servizio. E c’è bisogno di un riconoscimento maggiore del diritto alla malattia. Perché chi sta male ha bisogno sì di cure, ma pure di non vivere con ulteriore angoscia la sua impossibilità di lavorare. È paradossale che a essere maggiormente penalizzati siano i malati più gravi, con una progressiva riduzione dell’indennità fino al rischio della perdita del posto di lavoro – se dipendenti – o con un’indennità a brevissima scadenza, oltre che di scarso valore, se autonomi.

blank business

Morti sul lavoro: la ricchezza che uccide

Salute e lavoro sono fortemente interconnessi anche quando non si è affetti da patologie. Nei primi 90 giorni del 2025 sono morte 306 persone sul lavoro e nel tragitto che le separava dal lavoro a casa. A dirlo è l’Osservatorio nazionale morti sul lavoro curato da Carlo Soricelli, che li conta tutti e non soltanto quelli per cui è pervenuta denuncia all’Inail. Sono lo specchio del “valore” che il Belpaese dà ai lavoratori: si concentrano nei settori dei trasporti e del magazzinaggio, delle manifatture e delle costruzioni, dove generalmente i compensi sono più bassi.

Chiamarle morti “bianche”, a cui tra l’altro si aggiungono i tantissimi infortuni sul lavoro con conseguenze gravi e/o permanenti e le malattie professionali, è quasi un affronto. Per sorvegliare oltre 5 milioni di imprese attive in Italia, ci sono circa 4.500 ispettori del lavoro (al 2024). Ciò significa che ognuno di loro dovrebbe controllare, contemporaneamente, 1.111 imprese. Il numero andrebbe almeno raddoppiato, ma le nuove selezioni previste vedranno l’assunzione di poche centinaia di unità, che andranno a compensare pure i pensionamenti.

La trappola della povertà sanitaria

Essere poveri in Italia, oggi, non si traduce più soltanto nella mancanza di reddito, a cui si può trovar rimedio con un’adeguata formazione, un’attività autonoma o un concorso pubblico. Significa soprattutto vivere nella mancanza di tutele, in città dove la qualità dell’aria è sempre più critica e dove aumentano i rischi di patologie potenzialmente mortali, senza la garanzia di prevenzione e cure. Significa essere costretti a lavorare in o per un’azienda in cui i tuoi diritti non vengono rispettati, senza che vi sia un’autorità ad accorgersene.

Essere poveri significa anche abitare in un luogo dove l’assistenza ai figli non è garantita dallo Stato nemmeno se lavori, dove il ruolo delle donne è ancora retaggio del patriarcato, con la conseguenza di un aumento del rischio di incidenti nel tragitto casa-lavoro e di stress lavoro-correlato. E significa vivere nella speranza di non ammalarsi mai, di essere sempre autosufficienti, per non rischiare di restare senza reddito e di sentirsi un peso per tutti quei parenti costretti a lasciare pure il loro lavoro per accudire i cari.

L’unica via d’uscita è in una reminiscenza platonica: ricordarsi che il welfare è nato proprio per garantire cure e assistenza a tutti, indipendentemente dal reddito. Perché prevenire è meglio che curare e curare è meglio di lasciar morire.

Autore
Foto dell'autore

Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

Lascia un commento

Continua a leggere

Iscriviti alla Newsletter

Il meglio delle notizie di Partitaiva.it, per ricevere sempre le novità e i consigli su fisco, tasse, lavoro, economia, fintech e molto altro.

Abilita JavaScript nel browser per completare questo modulo.