Come commercialista che vive quotidianamente le sfide e le opportunità della nostra professione, l’approvazione della riforma dell’ordinamento professionale da parte del CNDCEC è un momento di profonda riflessione.
Il testo approvato il 19 novembre 2024, oggi all’esame del Parlamento, segna indubbiamente un punto di svolta per la nostra categoria, ma merita un’analisi approfondita per comprenderne realmente portata e implicazioni.
Il cuore della riforma risiede nell’introduzione del sistema elettorale misto, che prevede che il 50% dei consiglieri sia eletto dagli Ordini territoriali e il restante 50% direttamente dagli iscritti. Per comprendere appieno il significato di questa scelta, possiamo fare un parallelo con sistemi elettorali più ampi: pensiamo alla differenza tra l’elezione del Presidente della Repubblica in Italia e quella del Presidente degli Stati Uniti.
Nel primo caso, il capo dello Stato viene eletto attraverso un sistema di rappresentanza mediata, che certamente garantisce equilibri e ponderazione nelle scelte, ma che spesso si traduce in lunghe negoziazioni, compromessi al ribasso e, non di rado, in quella che potremmo definire una “diplomazia del sotterfugio”.
Nel secondo caso, invece, il voto diretto dei cittadini conferisce al presidente una legittimazione immediata e una forza propulsiva che gli permette di agire con maggiore decisione.
Questo parallelo ci aiuta a comprendere come il sistema di elezione possa influenzare profondamente non solo la legittimazione della leadership, ma anche la sua capacità di azione.
In questi anni, abbiamo assistito troppo spesso a dinamiche locali in cui “politici di categoria” hanno saputo costruire e mantenere posizioni di potere attraverso sottili giochi di alleanze e controalleanze, curando più gli interessi personali o di piccoli gruppi che quelli dell’intera categoria.
E dobbiamo ammettere, con onestà intellettuale, che tutto questo è avvenuto con la nostra tacita complicità.
La riformulazione della composizione dei Consigli degli Ordini basata sul numero degli iscritti è un altro elemento significativo della riforma. Si passa da una struttura rigida a una più flessibile che prevede da 7 a 21 membri in base alle dimensioni dell’Ordine.
Questa gradualità permette una rappresentanza più proporzionata e potrebbe favorire una maggiore efficienza decisionale, soprattutto negli Ordini di maggiori dimensioni che spesso hanno sofferto di paralisi decisionali dovute a strutture inadeguate.
In questo contesto, l’esempio dei consulenti del lavoro offre spunti interessanti di riflessione. Questa categoria, pur con una complessità professionale diversa dalla nostra, ha saputo negli anni costruire una presenza forte e autorevole nel panorama professionale italiano.
Il loro modello organizzativo, caratterizzato da una leadership indiscussa, ha certamente prodotto risultati significativi in termini di tutela degli interessi della categoria e di capacità di incidere nei tavoli che contano.
Pur preferendo personalmente un approccio più democratico e pluralistico, non posso non riconoscere come questa visione familiare e centralistica abbia permesso loro di ottenere risultati concreti per gli iscritti.
La riforma introduce anche importanti novità in termini di quote riservate al genere meno rappresentato e agli under 45, cercando di rispondere a due criticità storiche della categoria: la scarsa presenza femminile nei ruoli decisionali e l’esclusione delle giovani generazioni dalle dinamiche rappresentative.
Questi meccanismi, insieme alla digitalizzazione del processo elettorale attraverso una piattaforma informatica dedicata, segnano un significativo passo avanti verso una gestione più moderna e inclusiva della categoria.
Un aspetto cruciale, che merita particolare attenzione, riguarda le specializzazioni professionali. La riforma riconosce e valorizza competenze specifiche in ambiti strategici come la crisi d’impresa, la consulenza sulla sostenibilità e la digitalizzazione aziendale.
In un mercato sempre più competitivo e specializzato, questa apertura non è solo una risposta alle esigenze contingenti, ma è una necessaria evoluzione della professione. I commercialisti devono potersi posizionare come consulenti strategici di alto livello, capaci di guidare le imprese attraverso le sfide della transizione digitale e della sostenibilità.
La disciplina dei compensi e dell’assicurazione professionale viene anch’essa rivista, con l’obiettivo di garantire maggiore tutela sia ai professionisti che ai clienti.
Questo aspetto è particolarmente rilevante in un momento in cui la concorrenza di nuove figure professionali e di servizi automatizzati rischia di svilire il valore delle nostre prestazioni. La definizione di standard qualitativi e la protezione delle competenze specifiche sono elementi fondamentali per mantenere alta la reputazione della categoria.
Tuttavia, non possiamo nascondere le criticità. Il sistema misto, pur essendo un passo avanti, potrebbe non essere sufficiente a scardinare completamente le dinamiche di potere consolidate. Il rischio è che la divisione tra consiglieri eletti direttamente e indirettamente generi conflitti interni, indebolendo ulteriormente l’azione del Consiglio Nazionale. Inoltre, la gestione delle specializzazioni richiederà un importante investimento in formazione continua, con il rischio concreto di creare divisioni tra professionisti di “serie A” e “serie B”.
La regolamentazione dei Consigli di disciplina, sia territoriali che nazionale, è un altro punto cruciale della riforma. L’obiettivo è garantire maggiore trasparenza e efficacia nei procedimenti disciplinari, aspetto fondamentale per mantenere alta la credibilità della categoria.
La gestione della morosità e le procedure di sospensione o cancellazione dall’albo vengono ridefinite con criteri più stringenti, nell’ottica di una maggiore professionalizzazione del ruolo.
Come commercialista che crede nel valore della democrazia e della partecipazione, sono convinto che solo attraverso un progressivo ampliamento degli spazi di partecipazione diretta potremo costruire una categoria veramente rappresentativa e autorevole.
Il tempo dei piccoli potentati locali, delle alleanze sottobanco e dei giochi di palazzo deve lasciare spazio a una nuova stagione di trasparenza e meritocrazia, non è solo un punto di vista personale, ma ritengo sia una necessità improrogabile.
L’introduzione di meccanismi di votazione digitale, attraverso una piattaforma informatica dedicata, è un’innovazione significativa che potrebbe favorire una maggiore partecipazione degli iscritti ai processi decisionali. La tecnologia, se ben implementata, può essere un potente strumento di democratizzazione e trasparenza.
Se qualcuno non se ne fosse accorto, la nostra professione sta morendo, e solo con un intervento drastico, come si fa per un malato terminale, possiamo tirar fuori qualcosa dal futuro, per i nostri studi, i nostri collaboratori e, permettetemi, per i nostri figli.
Perché tutti i commercialisti tengono famiglia, e il futuro della categoria non può essere sacrificato sull’altare degli equilibrismi e delle mediazioni infinite.
La sfida che ci attende è complessa ma non più rinviabile. La riforma approvata non è perfetta e non risolve tutti i problemi, ma segna una direzione di marcia importante.
Sta a noi professionisti ora dimostrare di essere all’altezza di questa sfida, partecipando attivamente ai processi decisionali e pretendendo sempre maggiore trasparenza e democraticità.
Solo così potremo costruire una categoria più forte, più coesa e più influente nel panorama economico e sociale del paese, garantendo un futuro per i nostri studi, i nostri collaboratori e, per i nostri figli. Perché anche i commercialisti tengono famiglia.
Giovanni Emmi
Dottore Commercialista