I giovani hanno perso la vocazione per l’attività professionale. Non è più come una volta, sono cambiati.
Un luogo comune che nasconde una verità ineluttabile. La professione del commercialista non è più appetibile come un tempo. Il motivo, come sempre in questi casi, è nel mercato.
La perdita di appeal della professione, i guadagni in picchiata e gli oneri in crescita hanno mutato le richieste che vengono dalla base, per l’ingresso nei ranghi dei commercialisti del nuovo millennio.
È una dinamica naturale, che si porta dietro un rischio insito del deficit di innovazione. Questo penalizza l’equilibrio delle casse di previdenza, la cui prospettiva a lungo termine è sempre più buia.
Senza il ricambio generazionale generato dalla perdita di vocazione, la professione soffre.
Indice
- Commercialista vs studi di revisione: due destini diversi
- Cosa non va in uno studio commercialista
- Giovani collaboratori: alberi da taglio o da frutto
- Giovani commercialisti: perché scegliere uno studio professionale
- Il collaboratore a partita IVA
- Giovani, collaboratori, studi commercialisti: quale soluzione?
Commercialista vs studi di revisione: due destini diversi
Come mai, in questo momento storico, parallelamente alla perdita di posizioni della professione, le società di consulenza e revisione, invece, hanno un vivaio ricco di talenti?
Manodopera intellettuale a costi vantaggiosi da utilizzare per le attività routinarie. Hanno attivato un sistema di reclutamento che facilita l’inserimento dei giovani ed ha un riscontro maggiore tra i neolaureati italiani in materie economiche o giuridiche.
Perché i giovani preferiscono i revisori contabili
Quale è il motivo per cui un giovane laureato in economia o legge sceglie una multinazionale di revisione, scartando a priori uno studio professionale di commercialisti o avvocati, anche se strutturato?
I motivi sono tre:
- fascino del brand;
- opportunità (il più delle volte delusa) di fare esperienze importanti;
- guadagno immediato.
Molti giovani non faranno carriera all’interno della società e scelgono questo percorso solo per una esperienza curricolare.
Altri resterebbero volentieri per partecipare alla crescita aziendale, ma è molto difficile scalare partendo dal basso, in realtà così strutturate e competitive.
Alla fine del percorso esperienziale si aprono le porte del mondo del lavoro in questo settore o in ambito aziendale. I giovani, forti delle conoscenze acquisite, si presentano con esperienza in grandi realtà imprenditoriali.
Cosa non va in uno studio commercialista
E in uno studio professionale di commercialisti o avvocati? Cosa non va? Quale è il deterrente alla scelta di un percorso alternativo?
Ancora nella mente di tanti commercialisti, che hanno esordito nel campo professionale lo scorso secolo, è vivo il ricordo del tirocinio triennale gratuito. Bei tempi per alcuni, in cui la manodopera intellettuale faceva la fila per acquisire competenze che avrebbero consentito una carriera di successo e, perché no, anche qualche cliente dello studio.
È una questione di scelta e di visione sulla crescita del giovane professionista all’interno dello studio.
Giovani collaboratori: alberi da taglio o da frutto
Nel campo arato della professione puoi scegliere cosa piantarci e come farlo crescere. A volte la stessa qualità di un albero può avere destinazioni diverse. Mi viene in mente il Ciliegio, un albero buono per il frutto e per il legno.
Ci sono varietà che sono adatte al taglio, che forniscono la materia prima per ottimi mobili, ed altre varietà che producono bacche profumate per decenni. Hanno bisogno della stessa acqua, dello stesso fertilizzante, della stessa aratura, ma si deve scegliere prima cosa piantare, al momento della messa a dimora, non ci si può pensare dopo.
Il collaboratore, in uno studio professionale di commercialisti, negli ultimi decenni è stato visto come un albero da taglio, per questo motivo non vediamo i frutti oggi. E stata scelta una cultivar inidonea a creare quel ricambio generazionale necessario al mantenimento della specie.
Inserire un tirocinante in studio gratis o con un pagamento solo delle spese, assume un significato non di investimento, bensì di utilizzo finalizzato al risparmio sui costi di gestione, per un periodo limitato a qualche anno.
Dopo potrò solo tagliarlo, avendo valorizzato al massimo il suo tempo con un costo molto limitato.
Invece, per incentivare un giovane a formarsi in uno studio di commercialisti strutturato e selezionare il meglio, non c’è altra strada che l’autonomia economica e il coinvolgimento.
Giovani commercialisti: perché scegliere uno studio professionale
Perché, a mio avviso, un giovane laureato dovrebbe preferire uno studio professionale a una società di consulenza?
Per la libertà, per l’autonomia, per la prospettiva di un guadagno importante. Ma, soprattutto, per un percorso di vita personale e professionale più gratificante. Non necessariamente basato sulla competizione a tutti i costi, carriera, consulenze importanti, il vortice del “produci consuma crepa”.
Coinvolgere il giovane laureato in attività stimolanti che vadano oltre le attività contabili di base, proporre esperienze per una crescita completa e trasversale. Assecondare le inclinazioni e, prima di ogni cosa, dargli una prospettiva chiara ed un ruolo nel futuro della struttura.
La cultivar va scelta al momento dell’impianto, con patti chiari e il riconoscimento del lavoro svolto prima e in futuro. Con una partecipazione attiva all’interno dello studio, la cui dimensione cresce in proporzione al contributo, mettendo tutti i valori in campo come farebbe un’azienda.
Il collaboratore a partita IVA
Un altro modello caratteristico delle strutture professionali più complesse è quello del collaboratore di studio, professionista con la partita iva. Il cliente incarica il titolare o un socio senior e lo passa al collaboratore, che lo assiste in tutto e per tutto.
Un modello che può andare bene in una fase iniziale e che, invece, si trascina per decenni, creando di fatto un rapporto di subordinazione che non fa bene alla crescita professionale del collaboratore, conducendolo verso una delle due strade:
- la subordinazione di fatto senza autonomia;
- l’abbandono dello studio alla ricerca di maggiore autonomia.
Accade che i più spigliati e autonomi decidano di andarsene e creare una propria carriera autonoma, e che i meno intraprendenti si adagino all’interno di un rapporto di subordinazione professionale.
Questa dinamica indebolisce lo studio e la crescita del sistema professionale, creando gli spazi per una maggiore incisività delle grosse società sul reclutamento dei giovani laureati. La conseguenza nel medio termine è un inaridimento delle fonti di rinnovamento della professione del commercialista.
Giovani, collaboratori, studi commercialisti: quale soluzione?
Una possibile soluzione è quella dello studio associato, della società oppure della rete professionale.
Perché non pensare a un campo arato in cui le cultivar di ciliegio da frutto restino a dimora, senza necessariamente essere tagliate, se non quando hanno finito il loro ciclo vitale?
E accanto ad esse piantare altri virgulti che crescano producendo frutti professionali che affondano le radici nella indipendenza e autonomia, pur restando nello stesso campo.
La chiave di tutto è la gestione del cliente, che deve essere affidato al giovane commercialista, in funzione delle sue competenze.
Insieme alla gestione, anche l’incarico professionale che è la base giuridica del rapporto fiduciario e della gratificazione fa crescere l’autostima e la capacità di assumere responsabilità in misura crescente.
Giovanni Emmi
Dottore Commercialista