I risultati dell’ultima ricerca1 condotta dall’Università di Pavia per Assosoftware sulla digitalizzazione degli studi professionali italiani offrono diversi spunti di riflessione. L’indagine, che ha coinvolto un campione di 1559 professionisti sull’intero territorio nazionale tra il 2020 e il 2022, restituisce l’immagine di un settore che fatica ancora ad abbracciare appieno la trasformazione digitale.
I dati parlano chiaro: la maggior parte degli studi (53%) dedica alla formazione sulle nuove tecnologie non più di una giornata all’anno. Gli investimenti in quest’area sono ancora piuttosto contenuti: il budget annuale per il digitale si attesta prevalentemente tra i 1.000 e i 5.000 euro, con solo una piccola percentuale di studi che supera i 30.000 euro.
Eppure, sarebbe riduttivo e semplicistico leggere questi numeri come una mera questione di scarsi investimenti economici. Il vero nodo, a mio avviso, è più profondo e ha a che fare con la cultura digitale nel suo complesso.
Indice
Digitalizzare non significa nuovi software
Troppo spesso infatti si tende a far coincidere la digitalizzazione con l’adozione di nuovi software, specialmente in ambito gestionale e contabile. Come se bastasse acquistare l’ultima versione di un programma per dirsi “digitali”. Ma i fatti sembrano dimostrare che non è così.
Lo studio evidenzia ad esempio che, su una scala da 1 a 5, gli strumenti più utilizzati sono ancora:
- l’email (4,42);
- i sistemi di backup (3,64);
- le piattaforme di collaboration (3,39).
Ben pochi studi invece sfruttano appieno le potenzialità di soluzioni più innovative come l’intelligenza artificiale, che si ferma a un punteggio di 1,27.
Questo dato fa il paio con un altro elemento interessante emerso dalla ricerca: ben il 54% degli studi dichiara di aver apportato solo piccoli cambiamenti al proprio pacchetto di servizi nel triennio 2020-2022. Solo il 5% parla di cambiamenti molto rilevanti.
Investire nelle competenze, prima che negli strumenti
Cosa ci dicono questi numeri? Che la digitalizzazione non può essere ridotta a una questione di meri strumenti, per quanto sofisticati. Il vero investimento da fare è in termini di competenze, di formazione, di un nuovo approccio mentale prima ancora che tecnologico.
Non basta riempirsi di software, magari sottoutilizzando le funzionalità o acquistando moduli poco utili nella pratica. Occorre invece partire da un’analisi attenta del contesto dello studio, delle esigenze dei clienti, delle competenze dei collaboratori. Solo così è possibile costruire un percorso di digitalizzazione su misura, che porti benefici concreti al business.
Serve insomma un cambio di paradigma più profondo. “Digitale” non può essere solo un aggettivo che si applica a qualche nuovo strumento, ma deve diventare un vero e proprio mindset, un modo nuovo di interpretare la professione sfruttando le opportunità del tech.
Un cambio di passo è possibile, a patto però di investire davvero sulle competenze, sul capitale umano, su una progettualità di ampio respiro. Solo così gli studi italiani, in particolare quelli dei commercialisti, potranno cogliere fino in fondo le opportunità della rivoluzione digitale per offrire servizi sempre più innovativi, efficienti e a valore aggiunto.
Alcuni esempi di digitalizzazione
Le opportunità offerte dal digitale, infatti, toccano tutti gli aspetti dell’attività professionale, dalla gestione interna dello studio al rapporto con i clienti, passando per l’automatizzazione dei processi e l’analisi dei dati. Ma per cogliere appieno queste opportunità, serve un cambio di prospettiva e un investimento serio sulle competenze.
Prendiamo ad esempio la gestione della comunicazione interna allo studio. Qui gli strumenti digitali possono fare la differenza, rendendo più efficiente lo scambio di informazioni e documenti tra colleghi, migliorando la collaborazione e la produttività complessiva.
Anche il rapporto con i clienti può trarre grande beneficio dalla digitalizzazione. Piattaforme di collaboration, firma digitale, conservazione sostitutiva sono solo alcune delle soluzioni che possono semplificare e velocizzare le interazioni, offrendo al contempo un servizio più puntuale e personalizzato.
Ma è forse nell’ambito dell’automatizzazione e dell’analisi dei dati che il digitale esprime le sue potenzialità più dirompenti per la professione. Software come Sincrobank, ad esempio, permettono di scaricare in automatico fatture ed estratti conto bancari dei clienti, generando report e analisi utili per il controllo di gestione e la tesoreria. Un risparmio di tempo prezioso che libera risorse per attività a maggior valore aggiunto.
E che dire dell’intelligenza artificiale? Le sue applicazioni in ambito di consulenza sono potenzialmente infinite. Chatbot evoluti possono gestire le richieste più semplici dei clienti, mentre algoritmi di machine learning possono individuare trend e insights preziosi a partire dai dati aziendali e di mercato. Senza contare le opportunità offerte dal cosiddetto “no-code“, che permette anche ai non specialisti di creare applicazioni e automazioni su misura.
Emblematica in questo senso l’esperienza di partitaiva.ai, un percorso di intelligenza artificiale per i commercialisti e per le PMI sviluppata da commercialisti. Una testimonianza di come la categoria possa farsi protagonista attiva dell’innovazione tecnologica, non solo subirla passivamente.
Primi passi sulla formazione
Ma per farlo, è indispensabile investire sulla formazione e sull’aggiornamento professionale. Ben vengano dunque iniziative come il corso gratuito2 promosso dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili insieme alla Fondazione Nazionale Commercialisti, che nel 2024 proporrà dieci lezioni sul tema dell’intelligenza artificiale. Un’occasione preziosa per accrescere le proprie competenze e confrontarsi con i commercialisti italiani più digitali.
La digitalizzazione rappresenta per gli studi professionali una sfida complessa ma irrinunciabile. Una sfida che richiede visione, impegno, investimenti mirati e, soprattutto, un rafforzamento delle competenze digitali di base. Solo così i commercialisti potranno cogliere appieno le opportunità della rivoluzione tecnologica, rinnovando e ampliando la propria offerta di servizi. Il futuro è già qui, sta a noi esserne protagonisti.
Giovanni Emmi
Dottore Commercialista