Come i clienti vedono i commercialisti (e perché occorre cambiare immagine)

L'immagine che i clienti hanno del commercialista deve cambiare per il bene dello studio. Ecco come iniziare.

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come clienti vedono commercialisti

L’immagine del commercialista è molto cambiata negli ultimi decenni, soprattutto a causa di un’evoluzione delle competenze e del ruolo di questo professionista, che ha modificato l’impatto nelle coscienze e nella immaginazione del cliente.

L’inizio della professione

Negli anni del dopoguerra, fino al 1972, il commercialista aveva competenze prevalentemente contabili e di revisione. La sua professionalità al servizio dell’azienda era più che altro legata alle prescrizioni del codice civile che ne qualificava la figura, soprattutto per le grandi aziende. 

Era un’epoca in cui la laurea era molto rara e la professione era relativamente facile da esercitare, poca concorrenza e un ruolo importante agli occhi della proprietà che commissiona le prestazioni.

Con i Decreti fiscali del 1972-1973, la svolta della professione verso un ruolo di fiscalista che ha ampliato le attribuzioni del professionista e la platea dei clienti che richiedevano le prestazioni di questa figura professionale.

La professione cresce, dottori e ragionieri iniziano a lavorare in modo sistematico e capillare con le imprese.

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Il commercialista negli anni 2000

Fino al 2000 il commercialista è una professione di successo, molto ambita e richiesta sul mercato. Nel 2005 la svolta, con l’unificazione degli albi dei ragionieri e dei dottori commercialisti, che crea una mega categoria che oggi ha circa 120.000 iscritti in tutta Italia.

La percezione del cliente, con una maggiore diffusione della professione, più offerta e un ruolo che diventa sempre più da intermediario della pubblica amministrazione, cambia in modo deciso.

Il professionista contabile viene individuato come l’interfaccia della Pubblica Amministrazione, la longa manu del fisco italiano, inefficiente e autoritario. Mediare ed intermediare diventa il fulcro della prestazione di molti studi professionali che restano schiacciati all’interno di questo ruolo ed iniziano ad essere oberati di scadenze.

Una dinamica che attraversa anche altre categorie affini, come i consulenti del lavoro e gli avvocati, anche loro come i commercialisti, sempre meno consulenti e sempre più intermediari della burocrazia.

Come uscire da questa situazione e restituire dignità al ruolo professionale?

Una soluzione è quella di disintermediare il rapporto con gli enti pubblici favorendo sempre più l’introduzione della tecnologia.

Incentivare il cliente a svolgere da sé alcune mansioni che non solo non creano valore aggiunto ma proiettano un’immagine del professionista da burocrate, più che da consulente.

Servizi di scarso valore da disincentivare

Alcuni esempi? La gestione dello SPID, della posta elettronica certificata, dei modelli fiscali precompilati, delle prestazioni di lavoro autonomo occasionale, i bonus fiscali, la conservazione dei documenti negli archivi digitali, e tanto altro.

Attività che, in molti studi, il commercialista svolge per il cliente, una sostituzione per attività meramente esecutive che non porta valore aggiunto, porta rischi e distoglie dalle principali attività di consulenza.

In alcuni casi le attività di servizio complementare a favore dei clienti sono una strategia per andare alla ricerca di un ulteriore margine sul rapporto professionale, in altri semplicemente per allinearsi con la concorrenza che si muove in questa direzione.

Fondamentalmente, la scelta di prestare questi servizi di scarso contenuto professionale dipende da una mancanza di una vera e propria attività, anche di base, di controllo di gestione del commercialista, sulle attività svolte e di un timore fondato del professionista contabile di deteriorare il rapporto con un cliente che gli garantisce un introito mensile sicuro. 

La consulenza: nuovo fulcro dell’offerta di uno studio commercialista

Mettere al centro della proposta professionale la consulenza vuol dire proiettare al cliente una immagine di professionista che si interessa al core business dell’azienda, che trova le soluzioni per i problemi anche esecutivi, attraverso forme di esternalizzazione o formazione del personale interno o del titolare su alcune attività.

Il professionista deve garantire il supporto per lo sviluppo e per i momenti più difficili per l’azienda, assolvendo meglio alla sua funzione e svolgendo un ruolo di vate della cultura d’impresa, più che mero esecutore di attività burocratiche.

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E se il cliente non si adeguasse a questa impostazione? 

Partire dal presupposto che il cliente debba sempre essere accontentato è una strategia che, nel tempo, non pagherà.

La scelta se continuare un rapporto professionale con un cliente appartiene ad una precisa strategia del professionista, che deve definire la sua figura all’interno dell’impresa e determinare la proposta di consulenza o di intermediario burocratico in modo chiaro.

Se un cliente non rende, si prova a farlo rendere o si rinuncia all’incarico.

Autore
Foto dell'autore

Giovanni Emmi

Dottore Commercialista

Commercialista dal 🧗🏾‍♀️secondo millennio, innovatore professionale nel terzo millennio🏃🏾‍♂️. Il futuro della professione del commercialista nel mio ultimo libro "dalla società alla rete tra professionisti".

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