Sostenibilità nel lavoro autonomo: vivere per lavorare o lavorare per vivere?

Licenziarsi, avviare un'attività autonoma, magari lavorare a casa e non riuscire più distinguere la vita privata da quella lavorativa. Un trauma, soprattutto per tutti coloro che abbandonano il contratto da dipendente pensando di lavorare un'ora al giorno da una spiaggia delle Maldive. Il successo autentico è individuale, ma raggiungibile solo scardinando tutte le proprie convinzioni.

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sostenibilità nel lavoro autonomo

Alzarsi la mattina già stanchi, far correre i figli a scuola dopo non poche resistenze, essere sempre in ansia e continuare a occuparsi del lavoro anche dopo aver cenato. La sostenibilità nel lavoro autonomo è realtà o semplice utopia?

Dopo il boom di dimissioni post pandemia  – che ha visto 2,2 milioni di cittadini nel 2022 lasciare il posto di lavoro – , resta ancora alta la voglia degli italiani di realizzarsi costruendo un business proprio. Il desiderio è quello di lavorare senza troppi vincoli, di scegliere le persone con cui farlo e di dedicarsi a ciò che si ama. Ma senza aver sviluppato soft e hard skill adeguate, senza imparare a dire di no, senza saper gestire l’ansia o rispettare le necessità del corpo e della mente, si finisce per costruire una modalità di lavoro insostenibile. Come costruire il proprio work-life balance? Liberandosi dagli estremismi e ascoltandosi, mettendo in dubbio le proprie convinzioni.

Lo stress che rende insostenibile il lavoro

Secondo l’INAIL, solo nel primo trimestre 2024, sono state registrate oltre 22 mila denunce di malattie professionali legate a disturbi psichici e comportamentali, con una crescita del 17,9% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.  A essere colpiti da burnout, stress, frustrazione e disturbi psicologici sono soprattutto le donne (66,3%) e le persone che si trovano nella prima fase della loro carriera professionale, ovvero tra i 25 e i 34 anni (62,9%). La concentrazione più alta dello stress da lavoro è in Lombardia e Lazio.

Questi dati si riferiscono all’intera platea di occupati e non soltanto ai liberi professionisti. Fare i freelance, ovvero essere titolari della propria ditta, offre certamente l’opportunità di organizzare il proprio tempo e prendere decisioni in modo autonomo, ma apre le porte a ulteriori ansie su incertezza del reddito, mancanza di tutele in caso di infortunio e malattia, gestione della contabilità e isolamento.

A queste paure, poi, spesso si associa la tendenza a dire sempre sì, dunque ad accettare qualsiasi proposta lavorativa, saturando tutto il tempo a disposizione e per pochi spiccioli. Un circolo vizioso che può finire per mettere al tappeto persino i professionisti più motivati.

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I pilastri della sostenibilità nel lavoro autonomo

I tre pilastri di un business sostenibile, così definiti dalle Nazioni Unite, sono:

  • sostenibilità economica, cioè la capacità di generare una crescita duratura degli indicatori economici;
  • sostenibilità ambientale, ovvero la capacità di mantenere il capitale naturale e il funzionamento degli ecosistemi;
  • sostenibilità sociale, con la quale si intende la capacità di soddisfare i bisogni umani, primari e secondari.

Questi principi, che dovrebbero orientare le decisioni di tutte le imprese, sono fondamentali anche per i lavoratori autonomi. Perché un libero professionista che abbia marginalità troppo basse a fronte di un carico eccessivo di lavoro e responsabilità, che non possa mai andare in vacanza e contare su dei collaboratori, che non tenga conto della necessità di fare degli investimenti per far crescere il proprio business, che non si occupi di rispettare l’ambiente e il contesto sociale in cui si trova – fatto anche dal resto dei familiari e dagli altri gruppi sociali – non può andare lontano.

Tempo, energia e denaro

Tempo, energia e denaro sono gli ingredienti di ogni attività autonoma. Basta che, per un attimo, uno solo venga meno o sia in esubero e l’intera ricetta fallisce. Nell’attuale società della performance, dove il soggetto vale in base a ciò che raggiunge e se migliora continuamente i suoi risultati, il rischio che ciò accada è molto alto.

Non si deve però cadere nella retorica sterile per cui avere un work-life balance ottimale significhi lavorare poche ore al giorno, magari soltanto 4-5 giorni su 7. L’Italia non è l’Islanda: è un errore credere che un’abitudine che funziona altrove debba necessariamente funzionare nel Belpaese, dato che il lavoro è influenzato anche dal welfare e dal contesto culturale. Ad oggi è utopistico pensare che un giovane che desideri avviare un nuovo business autonomo in Italia possa, con poco effort, raggiungere il proprio obiettivo in poco tempo.

Fare di una passione una professione, acquisire competenze in materia finanziaria e nella gestione aziendale, stabilire delle priorità consente di accorciare il periodo di avvio dell’attività, spesso avvertito con maggiore stress. A volte anche il lavoro più amato, se il ritmo non è sostenibile, può finire per essere odiato.

Progetti sostenibili: il successo è soggettivo

Ce lo hanno insegnato i giapponesi. Trovare il proprio ikigai – la ragione per cui ci si sveglia al mattino – e seguirlo, significa vivere nella gratitudine e nella gioia. A proposito di cultura, abbiamo occidentalizzato persino questo termine, fino a farlo coincidere con il lavoro che ci appassiona e che, dunque, ci aiuta a essere più performanti. Ma qual è il confine tra passione, performance e ossessione?

Ognuno dovrebbe invece interrogarsi sul proprio significato di successo e sulle priorità che lo compongono. Perché se la povertà non rende certamente felici, inseguire a tutti i costi la ricchezza può far perdere il sorriso e la salute. Restare “piccoli”, non avere necessariamente l’esigenza di delegare parte dell’attività, di gestire fornitori e venditori, non è sempre un male. Soprattutto se non si acquisiscono prima gli strumenti necessari per farlo senza troppe difficoltà.

Insomma, l’essere umano non è soltanto il suo lavoro. Le sfere della sua vita pubblica e privata si intersecano a vicenda.

Piuttosto che chiedersi cosa possa far ottenere di più in termini economici e sociali, occorrerebbe stabilire di cosa volersi occupare. Questo è forse il segreto di un lavoro sostenibile, in cui si possa amare tutto ciò che si fa. Ed è anche la via maestra per la soddisfazione dei multipotenziali che, con i loro mille interessi, possono trovare geniali interconnessioni che diano vita a idee sostenibili originali.

Attenzione, però: essere originali, cioè svolgere a modo proprio e con il proprio valore aggiunto un mestiere, non significa essere per forza genitori di un’idea unica al mondo. A volte si può avere molto più successo – e con minori sforzi – facendo ciò che è molto richiesto, ma meglio di tanti altri.

I lavori sostenibili per professionisti non hanno controintenzioni

La sostenibilità del lavoro autonomo, pur essendo per certi aspetti soggettiva, ha un unico sintomo universale: rende soddisfatti. Emicrania, ansia, insonnia, difficoltà di concentrazione sono invece chiari segnali che c’è qualcosa da rivedere.

Aristotele affermava che, per comprendere il mondo, fosse necessario abbandonare la normale accettazione delle cose e imparare a osservare l’esperienza. Questo è il compito più complesso, ma necessario, per la sostenibilità del lavoro autonomo.

Il filosofo francesce Merleau-Ponty, nella sua Fenomenologia della percezione, spiegava chiaramente che percezioni mentali e fisiche fossero incarnate e che per vedere il mondo con occhi nuovi occorresse abbandonare l’idea che il corpo non fosse un’entità “vivente”, capace di grande intuizione. Mettere a tacere i suoi segnali, ingannare il sonno con eccessive dosi di caffè, non offrirgli l’allenamento di cui ha bisogno, significa tentare di cancellare parte della realtà del soggetto e portare, anche la sua attività lavorativa, al fallimento.

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Come migliorare la sostenibilità nel lavoro autonomo

Non esiste una ricetta perfetta per lavori sostenibili. Ma esistono delle strategie che possono aiutare ad andare in questa direzione:

  1. assicurarsi. Presto o tardi, un lavoratore autonomo che voglia sottrarsi all’ansia di poter rimanere “disoccupato” o di dover affrontare una malattia senza tutele, dovrà rivolgersi a un’assicurazione;
  2. definire in anticipo giorni e orari di lavoro. Questo non significa lavorare poco, ma darsi dei limiti e monitorare pure il rapporto tra compenso ed effort;
  3. se si vendono servizi, rinunciare ai lavori malpagati. Meglio pochi clienti, ma high ticket, piuttosto che tanti low ticket. Questo fa svolgere al meglio la professione, con la giusta dedizione, e migliora la propria reputation;
  4. creare il proprio personal brand, migliorando la comunicazione;
  5. ricorrere alla delega. Ciò vale soprattutto per le attività per la cui efficacia è essenziale il contributo di uno specialista (es. commercialista, social media manager, marketer);
  6. reinvestire parte degli utili in formazione e marketing (almeno il 30%). Senza cultura d’impresa non si può crescere, non si possono ridurre le controproducenti perdite di tempo e denaro e si finisce spesso per rinunciare alla propria competitività;
  7. integrare principi di economa circolare, per ridurre sprechi materiali ed energetici;
  8. rimanere aggiornati sugli incentivi fiscali e sui finanziamenti disponibili per essere favoriti in innovazione e sostenibilità ambientale e sociale;
  9. usare la tecnologia in modo responsabile. Mai rinunciare all’innovazione, come all’AI, ma farlo sempre secondo la propria deontologia professionale, usando la tecnologia come supporto per essere più agili e veloci nelle attività quotidiane e non in propria sostituzione;
  10. praticare meditazione e attività fisica. Ciò aiuta a liberare la mente e il corpo dalle tensioni, a controllare i propri pensieri, a favorire la flessibilità mentale, a coltivare pensieri positivi e a scongiurare tutti i danni dovuti dalla sedentarietà.

Lavorare per vivere o vivere per lavorare? Semplicemente eliminare questa dicotomia e trovare la propria dimensione soggettiva, accettando che possa cambiare nel corso dell’esistenza.

Autore
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Ivana Zimbone

Direttrice responsabile

Direttrice responsabile di Partitaiva.it e della rivista filosofica "Vita Pensata". Giornalista pubblicista, SEO copywriter e consulente di comunicazione, mi sono laureata in Filosofia - con una tesi sul panorama dell'informazione nell'era digitale - e in Filologia moderna. Ho cominciato a muovere i primi passi nel giornalismo nel 2018, lavorando per la carta stampata e l'online. Mi occupo principalmente di inchieste e approfondimenti di economia, impresa, temi sociali e condizione femminile. Nel 2024 ho aperto un blog dedicato alla comunicazione e alle professioni digitali.

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