- In Italia è possibile continuare a lavorare anche dopo la pensione, ma occorre rispettare alcuni limiti per non incorrere in sanzioni.
- I pensionati percettori di pensione di vecchiaia, pensione anticipata ed ex pensione di anzianità possono svolgere attività lavorativa senza vincoli sia in qualità di dipendenti sia in forma autonoma.
- Chi ha lasciato il lavoro in anticipo con Quota 100 può prestare lavoro in maniera occasionale solo al raggiungimento dei 67 anni di età e rispettando precisi limiti reddituali.
L’arrivo dell’inflazione e l’aumento del costo della vita hanno spinto sempre più lavoratori a tardare il pensionamento nonostante la maturazione dei requisiti minimi per lasciare il lavoro. L’importo dell’assegno pensionistico maturato potrebbe non essere sufficiente per sostenere le spese sanitarie, familiari o per altri costi.
Una soluzione possibile è quella di posticipare l’uscita dal mondo del lavoro per ottenere un assegno mediamente più alto o semplicemente per continuare a contribuire alla crescita dell’azienda o di un progetto grazie alla propria attività lavorativa. In alternativa, si potrebbe pensare di lavorare anche dopo il pensionamento.
Una domanda che molte persone si pongono riguarda la possibilità di continuare a lavorare in pensione: scopriamo cosa prevede la normativa, quando è possibile, quali sono i limiti per il cumulo di pensione e redditi da lavoro e quali attività si possono svolgere anche con la partita IVA.
Indice
Si può lavorare dopo la pensione?
In linea generale, in Italia è possibile continuare a lavorare anche quando si è in pensione: infatti, il divieto di cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro è stato abolito a partire dal 1° gennaio 2009 dal decreto legge 112/20081. Restano ancora soggetti al divieto di cumulo i titolari di pensione ai superstiti e degli assegni di invalidità.
Alcune tipologie di pensione, però, prevedono dei limiti al cumulo dei redditi da lavoro con la pensione. Per esempio, i lavoratori che hanno lasciato il lavoro in anticipo grazie a Quota 100, Quota 102 e Quota 103 non possono lavorare fino al raggiungimento dei 67 anni di età.
Chi è andato in pensione con Quota 100, come eccezione, può prestare il proprio lavoro in maniera occasionale purché il compenso non sia superiore a 5.000 euro l’anno.
Infine, il divieto di cumulo resta in vigore nei confronti dei dipendenti pubblici nel caso in cui gli stessi vengano riammessi in servizio presso le pubbliche amministrazioni.
Cumulo pensione e redditi da lavoro: i limiti
Il cumulo dei redditi da lavoro e pensione è assolutamente possibile per tutti i lavoratori che sono andati in pensione con il sistema retributivo o misto, cioè per quei soggetti che hanno iniziato a versare i contributi prima del 31 dicembre 1995.
Per tutti coloro che sono stati iscritti per la prima volta alla previdenza obbligatoria a partire dal 1° gennaio 1996 (contribuenti puri), il cumulo è possibile solo al soddisfacimento di uno dei requisiti che seguono:
- 60 anni di età per le donne e 65 per gli uomini;
- 40 anni di contribuzione;
- 35 anni di contribuzione e 61 anni di età anagrafica.
Bisogna comunque tenere presente che i redditi da lavoro dipendente cumulati con la pensione devono essere opportunamente inseriti nella dichiarazione dei redditi per formare un’unica base imponibile IRPEF sulla quale calcolare le tasse da pagare.
Lavorare part-time in pensione: consigli e idee
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Dopo il raggiungimento dei requisiti minimi per andare in pensione è possibile continuare a lavorare, ad esempio part-time, e svolgere attività diverse a seconda delle proprie possibilità e inclinazioni. Solitamente i pensionati cercano dei lavori con cui è possibile impegnarsi saltuariamente o in modo occasionale. Considerando i limiti e la normativa, occorre prestare attenzione al tipo di attività che si andrà a svolgere.
Ad esempio, un pensionato che ha lavorato per anni come insegnante può scegliere di proseguire la carriera come docente o tutor, in presenza o da remoto. L’attività può svolgersi direttamente presso le abitazioni degli studenti oppure presso aule studio o biblioteche. Anche quella del consulente è una professione che si può svolgere senza vincoli anche dopo la pensione.
In alternativa, chi ha la passione per l’arte e vuole valorizzare il patrimonio culturale italiano può decidere di svolgere l’attività di guida turistica ottenendo l’abilitazione alla professione. In questo caso, però, potrebbe essere necessario aprire la partita IVA, o mantenerla aperta anche dopo il pensionamento.
Allo stesso modo, anche chi ha lavorato per tutta la vita come artigiano (idraulico, elettricista, meccanico, giardiniere, ecc), può continuare a svolgere piccoli lavori, in forma autonoma, con una posizione IVA o in modo occasionale.
Lavorare in pensione con partita IVA
La pensione non rappresenta una causa di esclusione per l’apertura della partita IVA e, allo stesso modo, un pensionato che ha svolto attività lavorativa in forma autonoma può proseguire la sua attività anche dopo il pensionamento.
Tuttavia, è importante ricordare che se si intende accedere al vantaggioso regime fiscale forfettario, non bisogna avere redditi superiori a 30.000 euro all’anno, compresa la pensione. Per calcolare le tasse bisognerà quindi sommare le quote dovute da un lato per la pensione (IRPEF) e dall’altro lato per l’attività autonoma (imposta sostitutiva in caso di forfettario).
Un pensionato che decide di svolgere la propria attività come libero professionista dovrà fare attenzione anche al fattore contributivo: dovrà infatti versare i contributi per l’attività autonoma svolta alla gestione separata INPS, a quella dedicata ad artigiani e commercianti oppure ad una cassa specifica legata ad un ordine professionale.
Gli artigiani e commercianti con più di 65 anni di età (già pensionati) usufruiscono invece della riduzione del 50% dei contributi previdenziali. Questi ultimi, però, dovranno effettuare l’iscrizione presso la camera di commercio.
Lavorare in pensione: come funziona la dichiarazione dei redditi
Una volta chiarita la possibilità di lavorare in pensione, è necessario chiedersi se conviene davvero continuare a svolgere un’attività anche dopo il pensionamento oppure se è meglio godersi questo periodo. Come viene tassato il reddito da lavoro in cumulo alla pensione e come dichiararlo?
La pensione, così come i redditi da lavoro, è assoggettata all’IRPEF. Nel caso di coesistenza con altre fonti di reddito, in alcuni casi è possibile sommare le quote e applicare le stesse imposte.
Rientra qui il reddito da lavoro dipendente o assimilato, che si può sommare al ricavo percepito con la pensione per formare un unico reddito imponibile su cui applicare l’IRPEF. Occorrerà quindi inserire nella dichiarazione dei redditi anche gli importi descritti nella Certificazione Unica.
Il reddito da lavoro autonomo, invece, segue delle regole diverse. Mentre con il regime ordinario la tassa è la stessa, un pensionato con partita IVA in regime forfettario pagherà l’imposta sostitutiva unica al 5% o al 15% sul reddito prodotto nel corso dell’anno, per cui il calcolo è separato. Il pensionato dovrà quindi utilizzare per la dichiarazione il Modello Redditi PF.
Contributi INPS e supplemento di pensione
Quando si riprende a lavorare dopo il pensionamento è necessario continuare a versare i contributi previdenziali all’INPS, che saranno un supplemento per la pensione2 in futuro.
Possono inviare la domanda di supplemento di pensione i soggetti titolari di pensione principale, di pensione supplementare o di assegno ordinario di invalidità iscritti a:
- assicurazione generale obbligatoria (AGO) dei lavoratori dipendenti o autonomi;
- gestione dei lavoratori spettacolo e sport (ex ENPALS);
- gestione separata.
La richiesta di supplemento alla pensione deve essere inoltrata all’INPS.
Lavorare in pensione – Domande frequenti
In linea generale sì, chi è già in pensione può lavorare rispettando certi limiti e regole. Dal 2009, infatti, è venuto meno il divieto di cumulo tra redditi da pensione e redditi da lavoro, dipendente o autonomo.
Per alcune persone continuare a lavorare anche dopo il raggiungimento dei requisiti minimi per la pensione può comportare un aumento significativo dell’assegno pensionistico futuro, ma è necessario valutare se questo incremento giustifica il ritardo della pensione.
Il coefficiente di trasformazione che determina l’importo della pensione varia ogni due anni e potrebbe far aumentare l’importo pensionistico. Nel 2024, per esempio, era pari al 5,72% per i lavoratori con 67 anni di età che potevano accedere alla pensione di vecchiaia. Nel 2025, tale coefficiente è aumentato al 5,93% per chi ha deciso di aspettare i 68 anni per lasciare il lavoro.
Laura Pellegrini
Giornalista e content editor