La politica dei dazi di Trump rappresenta una delle strategie economiche più controverse della sua amministrazione. Fin dal suo primo mandato, Donald Trump ha utilizzato le imposte dirette sui consumi come uno strumento di pressione geopolitica, imponendo tariffe elevate su beni importati da diversi Paesi, sia alleati che rivali. Questo approccio rientra nella filosofia del “Make America Great Again” (MAGA), con l’obiettivo dichiarato di proteggere l’industria manifatturiera americana, riequilibrare la bilancia commerciale e ridurre il deficit commerciale degli Stati Uniti.
Oggi, a meno di un mese dal suo insediamento alla Casa Bianca che ha fatto registrare il record del valore del bitcoin, il 47° presidente degli Stati Uniti ha riproposto la stessa strategia per “motivi di sicurezza interna”. Messico e Canada sono così stati accusati, rispettivamente, di non controllare il flusso di migranti e Fentanyl (un oppioide) verso Stati Uniti, e hanno proposto azioni di riparazione per evitare imposte del 10% e 25% sull’import.
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Dazi di Trump, le origini di una nuova “guerra commerciale”
L’uso dei dazi come strumento di politica economica da parte di Trump è iniziato nel 2018 con la cosiddetta “guerra commerciale” contro la Cina. L’amministrazione americana impose tariffe fino al 25% su centinaia di miliardi di dollari di merci cinesi, in risposta alle accuse di pratiche commerciali sleali, furto di proprietà intellettuale e sussidi statali alle imprese cinesi.
Pechino rispose con dazi di ritorsione, colpendo settori chiave dell’export statunitense, come l’agricoltura e la tecnologia. Una strategia che si rivelò un’arma a doppio taglio: se da un lato danneggiò l’economia cinese, dall’altro influì negativamente anche sugli Stati Uniti, aumentando i costi per le imprese e i consumatori americani. Se lo stesso rischio si riproporrà adesso, 48 ore dopo l’entrata in vigore nuovi dazi contro la Cina, è difficile dirlo.
La reazione dell’Italia
In questo contesto l’Italia sta alla finestra, ma lancia già degli avvertimenti sulle strategie da adottare. Intervenendo la scorsa settimana dal Consiglio informale congiunto Competitività e Commercio dell’Ue organizzato a Varsavia, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha spiegato che “L’Occidente deve unirsi e non dividersi” e che l’UE deve instaurare subito un dialogo costruttivo con Washington per realizzare una nuova cooperazione strategica, per evitare una guerra commerciale devastante per tutti.
Quali saranno gli effetti dei dazi di Trump in Italia? Le opposizioni prevedono già scenari economici recessivi. Aprendo il proprio tour in Sicilia, il leader di Azione, Carlo Calenda, ha spiegato a Catania che “Quella portata avanti da Trump è una guerra commerciale ed entreremo sicuramente in recessione.
Quest’anno perderemo una valanga di lavoratori dopo aver concluso un anno record di cassa integrazione”. Ai dazi di Trump Meloni potrebbe reagire tentando una mediazione tra USA ed Europa. Per Gover Norquist, fondatore capo di Americans for Tax, la premier avrebbe infatti tutte le carte in regola per aprire un canale di dialogo utile a tutti. Lo ha dichiarato all’Agi trovandosi a Roma per un seminario sull’agenda economica di Trump organizzato dall’Istituto Affari Internazionali.
I dazi come strumento di pressione sugli Stati (alleati)
Non solo la Cina oggi, ma anche gli alleati storici degli Stati Uniti sono finiti nel mirino della politica tariffaria di Trump. I già citati Canada, Messico, il Giappone e persino l’Unione europea sono stati minacciati o colpiti da misure protezionistiche.
Anche i dazi di Trump del primo mandato fecero discutere. Nel 2018, l’amministrazione statunitense ha imposto dazi su acciaio e alluminio provenienti da diversi Paesi, scatenando reazioni indignate e misure di ritorsione. Quei dazi furono ritirati nel 2019 perché, ricorda il giornalista de La Verità Stefano Graziosi: “Durante le trattative per l’USMCA, che avrebbe sostituito il NAFTA, i dazi furono utilizzati anche come leva negoziale e successivamente ritirati per arrivare alla ratifica dell’accordo con Canada e Messico. Un aspetto fondamentale di questa strategia era stato proprio richiamare la sicurezza nazionale (in chiave economica e commerciale) degli Stati Uniti. Se tanto mi dà tanto è probabile che Trump torni a utilizzare questo argomento”, ha evidenziato Graziosi.
Anche Biden scelse il protezionismo. Oggi Trump guarda all’elettorato
Le politiche protezioniste non sono una prerogativa esclusiva della presidenza numero 47 targata Donald Trump, ma hanno caratterizzato anche l’amministrazione di Joe Biden. “Il presidente Biden ha adottato un approccio protezionista scegliendo di bloccare l’acquisizione di US Steel da parte di un’azienda giapponese. Gli Stati Uniti si dichiarano aperti agli investimenti stranieri, ma non quando questi comportano il passaggio di asset strategici sotto controllo estero”, ha ricordato ancora il giornalista de La Verità.
Quali sono le idee di Trump? Riaprendo la prospettiva di dazi su acciaio e alluminio, “Trump sta probabilmente guardando anche ad un pezzo di elettorato interno, puntando sugli stati maggiormente legati alla produzione di acciaio, cioè Indiana, Ohio, Michigan e Pennsylvania. Si tratta di territori chiave, determinanti nelle passate elezioni presidenziali, e con questa mossa l’attuale presidente potrebbe voler inviare un segnale chiaro agli elettori”.
Dazi Trump, conseguenze sull’Italia? Perdite fino al 4% di pil, Mezzoggiorno maggiormente penalizzato
Un’analisi Svimez per Il Sole 24 Ore ha stimato il possibile impatto di dazi USA sulle esportazioni italiane, prevedendo una perdita occupazionale tra 27 mila e 53 mila unità, il 13% delle quali al Sud. Lo studio ha ipotizzato tre scenari su base territoriale. Lo scenario intermedio, basato su dazi al 20%, prevede un calo del Pil di 3,8 miliardi di euro (-0,18%), con una riduzione di 3,3 miliardi al Centro-Nord e 500 milioni al Sud. L’export perderebbe 5,8 miliardi (-8,6%), con una riduzione di 800 milioni dal Mezzogiorno (-9,3%) e 5 miliardi dal Centro-Nord (-8,5%). La perdita occupazionale si attesterebbe a 53.600 Ula (unità lavorative annue), di cui 46.300 al Centro-Nord e 7.300 al Sud.
Lo scenario conservativo, con dazi al 10%, comporterebbe una riduzione del Pil di 1,9 miliardi e dell’export di 2,9 miliardi. Il Sud registrerebbe un calo delle esportazioni del 4,7%, mentre il Centro-Nord subirebbe un impatto del 4,2%. Nel caso estremo, con dazi al 100% sulle auto elettriche e al 20% sugli altri settori, la penalizzazione del Pil sarebbe pari a 5,4 miliardi, con una riduzione dell’export di 8 miliardi e una perdita occupazionale superiore a 76mila Ula. L’agrifood subirebbe il calo maggiore, con una riduzione del 16,4% delle esportazioni, seguito dalla farmaceutica (-13,6%) e dell’automotive (-10%). Il Mezzogiorno, dove questi settori incidono maggiormente sull’export nazionale (22,6% agrifood, 11,6% farmaceutico, 28,4% automotive), risulterebbe l’area più colpita.
L’Europa di nuovo nel mirino del Tycoon
Non ultimo, anche durante il suo primo mandato, Trump ha più volte minacciato di imporre tariffe sui beni europei. in particolare sulle automobili tedesche, accusando l’Unione Europea di approfittare del mercato americano senza offrire un adeguato accesso ai prodotti statunitensi. Oltre agli interessi economici, una nuova ondata di dazi potrebbe essere utilizzata per esercitare pressioni politiche degli stati membri della NATO.
Trump ha a lungo criticato i Paesi europei per il loro insufficiente contributo alla spesa militare dell’Alleanza Atlantica, chiedendo un aumento del budget destinato alla difesa. Uno scenario confermato da Stefano Preziosi. “Dal punto di vista del presidente Trump, il tema del dazio è pragmatico e ha natura trasversale nelle interlocuzioni, valido su tutti i temi. Quando arriverà l’ora dell’Unione europea, serviranno per fare pressione sul tema della difesa” ha dichiarato il giornalista de La Verità.
Chiara Borzì