Avere una partita IVA in regime forfettario ha i suoi vantaggi, ma anche degli svantaggi. Tra questi, non è possibile dedurre i contributi versati nel fondo pensione dal reddito da lavoro forfettario soggetto a imposta sostitutiva (non soggetti a IRPEF).
Questo può indurre un autonomo a scartare forse troppo presto l’ipotesi di avere una pensione complementare. Tuttavia, il fatto di non poter dedurre i versamenti del fondo pensione non significa automaticamente che la scelta sia svantaggiosa per forza.
Lo strumento del fondo pensione può essere anche conveniente per i lavoratori che abbiano optato per il regime forfettario. Vediamo perché può valerne la pena e quali sono le eventuali alternative da valutare.
Pensione integrativa e regime forfettario: perché conviene
Per un forfettario potrebbe essere comunque una buona idea aderire alla previdenza complementare per le seguenti ragioni:
- Anche chi opera in regime forfettario ha bisogno di tutelare il proprio futuro previdenziale, proprio in considerazione dei minori contributi accantonati rispetto ad altri lavoratori;
- In regime forfettario si è esonerati dal pagamento dell’aliquota del 15% sul montante, come avviene invece per le altre categorie. Per l’esonero, il lavoratore dovrà presentare apposita certificazione sui contributi non dedotti;
- Il lavoratore in forfettario potrebbe percepire anche somme imponibili IRPEF, che in questo caso sono deducibili attraverso la previdenza integrativa;
- Il contribuente in forfettario potrebbe cambiare il regime fiscale passando a quello ordinario nel corso della propria vita lavorativa, e quindi godere in un secondo momento della deducibilità fiscale, portando in deduzione anche le somme non dedotte negli anni precedenti.
Su quest’ultimo punto, come spiega l’art. 8, co. 6, del D.lgs. 252/2005, i lavoratori assunti dopo il 1° gennaio 2007 possono utilizzare le somme non dedotte nei primi 5 anni di adesione al fondo pensione, fino ad un massimo di 25.882,85 €. Questo sistema permette di poter aumentare la deducibilità dal sesto al venticinquesimo anno di adesione al fondo pensione, portando la deducibilità massima a 7.746,86 € annui.
Alternative ai fondi pensione per forfettari
In alternativa, nel caso in cui non volesse optare per la sottoscrizione di un fondo pensione integrativo, il lavoratore in regime forfettario potrebbe optare per altri strumenti.
Polizza vita
Una polizza vita con finalità di rendita è la prima soluzione. In questo ambito, è possibile scegliere tra:
- Polizza a capitalizzazione: parliamo di un’assicurazione sulla vita ad accumulo di capitale, detta anche “a capitalizzazione”. Viene incrementata dall’aderente attraverso flussi regolari (PAC), e può beneficiare di rivalutazione o di maturazione degli interessi;
- Polizza a “Premio Unico” o “una tantum”: in questi casi, l’aderente versa l’ammontare o in un’unica soluzione o attraverso più versamenti flessibili. Anche in questo caso, il capitale potrà maturare interessi o subire una rivalutazione annuale.
In entrambi i casi, è solitamente possibile chiedere la conversione in rendita (ma è bene sempre verificare questa possibilità tra le condizioni contrattuali al momento della sottoscrizione).
La polizza vita è deducibile?
No. Le polizze suindicate, a differenza dei fondi pensione integrativi, non possono essere portate in deduzione, ragion per cui il lavoratore in regime forfettario non avrà alcun onere di presentare una certificazione sui contributi non dedotti, e non avrà gli stessi vincoli previsti per il riscatto del fondo pensione, ex D.lgs. 252/2005, salvo altri vincoli eventualmente previsti nel contratto di assicurazione.
È bene però tenere presente che, in determinati casi, come nelle polizze vita in accumulo o a capitalizzazione, sono previsti degli specifici obblighi di versamento, con delle scadenze determinate (pena pagamento di penali), cosa che invece non avviene nel caso del fondo pensione.
Fondi di investimento, Sicav e ETF
Un’alternativa interessante per i forfettari potrebbe essere la sottoscrizione di un piano di accumulo attraverso Sicav o ETF. In questo caso, parliamo di strumenti tipicamente finanziari e non di prodotti assicurativi, come i fondi pensione e le polizze vita.
Le somme sono liberamente svincolabili e non presentano le caratteristiche tipiche di un fondo pensione o di una polizza vita (ad es. non prevedono dei beneficiari casi morte, motivo per cui rientreranno in successione, secondo quanto previsto dal Codice Civile). Non hanno inoltre i benefici dell’impignorabilità o insequestrabilità, meno che mai la possibilità di beneficiare di deduzioni fiscali. Non è possibile, inoltre, la conversione in rendita.
Anche la tassazione sulle plusvalenze da fondi e ETF è più alta: paghi il 26% sul capital gain.
A loro favore, hanno costi di gestione notevolmente più bassi, in particolare modo nel caso degli ETF. Questo aspetto può essere considerato vantaggioso in quanto permette di massimizzare i rendimenti e ridurre le spese.
Essendo facilmente svincolabili, è sconsigliabile scegliere simili strumenti per tutelare il proprio futuro pensionistico. Proprio la possibilità di poter liberamente attingere da questi strumenti fa venir meno la finalità previdenziale.
Inoltre, non essendo possibile una conversione in rendita vitalizia, è possibile che il montante accumulato non sia sufficiente a coprire la longevità.
Giulia Pagano
Consulente finanziario presso Allianz Bank F.A.