Concordato preventivo biennale: le cause del flop

Il concordato preventivo biennale ha visto una bassa adesione delle partite IVA: ecco quali sono le cause e ultimi dati sull'evasione fiscale.

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  • Il concordato preventivo biennale è uno strumento che permette alle partite IVA soggette agli ISA e ai forfettari di stabilire in accordo con il fisco una quota fissa di tasse da pagare per due anni, con esenzione dai controlli.
  • Il termine per l’adesione allo strumento era il 31 ottobre 2024, ma si parla di un flop. Il governo sta ipotizzando di estendere le scadenze ulteriormente fino a dicembre.
  • La CGIA di Mestre lancia una provocazione presentando alcuni dati: pochi hanno scelto di aderire perché in Italia c’è meno evasione di quella individuata dal MEF.

Il concordato preventivo biennale è uno strumento controverso da molti punti di vista: il governo lo ha introdotto per migliorare la trasparenza fiscale tra autonomi e Stato, ma sono poche le partite IVA che vi hanno aderito effettivamente. Questa opzione permette di stabilire con il fisco una quota fissa di tasse da versare per due anni, sulla base dei redditi precedenti, lasciando fuori da controlli ulteriori chi vi aderisce.

Anche se per molti versi i vantaggi per gli autonomi sono molteplici, ci sono anche non poche criticità, per cui moltissime partite IVA non hanno preso in considerazione il concordato. Nel frattempo la CGIA di Mestre pubblica dei dati che rilevano un forte scostamento tra l’evasione fiscale degli autonomi individuata dal MEF e la situazione effettiva in Italia, ribadendo come la bassa adesione al concordato sia da ricondurre proprio ad una evasione limitata nel paese.

Questi dati spiegherebbero perché il concordato preventivo biennale è stato un flop, mentre il governo sta ipotizzando un possibile ritorno della misura o un’estensione della finestra temporale di adesione.

Il concordato preventivo biennale è un flop

A poter aderire al concordato con il fisco, entro il 31 ottobre 2024, erano le partite IVA soggette agli ISA e coloro che lavorano con il regime fiscale forfettario. La misura è stata indirizzata in special modo a quelle realtà in cui l’evasione fiscale è piuttosto elevata, secondo il MEF, ovvero intorno ai lavoratori autonomi.

Aderendo al concordato con il fisco infatti, le partite IVA possono versare per due anni la stessa somma di denaro, indipendentemente dalla somma ricavata ed essere esonerati dai controlli fiscali. Lo strumento è piuttosto controverso e ha dato motivo di forti critiche soprattutto perché, se da un lato avvantaggia chi ha in previsione guadagni maggiori, dall’altro lato penalizza chi invece percepirà minori entrate economiche.

Senza contare che per le partite IVA aderire a questo strumento comporta una complessità burocratica non indifferente e talvolta una spesa aggiuntiva in termini di consulenza fiscale. Il concordato preventivo è stato un flop, con circa 500.000 aderenti, rispetto a 4,5 milioni di autonomi (liberi professionisti o imprese) potenzialmente interessati.

A scegliere questo strumento è stato solamente l’11% delle partite IVA a cui era rivolto, con una maggiore partecipazione dei soggetti ISA rispetto alle partite IVA forfettarie. Per lo Stato questi numeri sono decisamente bassi, tenendo presente che ogni soggetto versa mediamente 2.600 euro all’erario tramite il concordato.

La CGIA di Mestre, che ha presentato questi risultati1, pone l’attenzione su un fattore che potrebbe aver provocato una così bassa adesione: l’evasione fiscale degli autonomi non sarebbe così alta come individuato dal MEF nel nostro paese, per cui sono pochi coloro che vedono una reale soluzione nel concordato.

Evasione fiscale autonomi: i dati

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Alla CGIA di Mestre di fatto non tornano i conti sui dati pubblicati dal MEF che riguardano l’evasione fiscale delle partite IVA in Italia. Secondo questo studio, gli evasori tra le partite IVA sarebbero molti meno rispetto a quelli indicati dalla recente Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva dell’anno 20242 a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Il documento del MEF infatti riporta una differenza tra ciò che lo Stato attendeva in termini di imposte e contributi e ciò che è stato realmente versato, ovvero un tax gap, di 82,4 miliardi di euro per il 2021, con una media di 95,9 miliardi di euro prendendo in considerazione gli anni dal 2017 al 2021.

Secondo la CGIA questi dati sarebbero inesatti: prendendo in considerazione solamente l’IRPEF e l’anno di imposta 2021, secondo le analisi ufficiali ci sarebbe un’evasione fiscale del 70%, con 29,5 miliardi di euro di tax gap solo su questa imposta.

Bisogna però tenere presente che questi autonomi hanno dichiarato 33.000 euro di media di ricavi nel 2021, quindi qualcosa non torna nei conti. Se l’evasione registrata dal MEF del 70% fosse esatta, gli autonomi avrebbero percepito qualcosa come 74.000 euro di media di ricavi lordi (il 120% in più di quanto dichiarato). Una cifra piuttosto elevata per un conteggio medio, tenendo presente che la maggior parte delle realtà qui analizzate è composta da un solo lavoratore autonomo e percepisce molto meno.

La CGIA di Mestre mette quindi in dubbio questi dati specificando come sia molto lontana la realtà dei ricavi rispetto ai 74.000 euro di guadagni necessari a far tornare i conti. I dati ufficiali sarebbero quindi poco aderenti alla realtà, tenendo anche conto che vanno ad escludere tutti coloro che non versano l’Irap, come le partite IVA che aderiscono al regime dei minimi, le imprese agricole e altri soggetti autonomi.

La retorica secondo cui ad evadere sono soprattutto i lavoratori autonomi quindi sarebbe imprecisa. Partendo da questi nuovi presupposti, come si colloca il concordato preventivo biennale? Uno strumento di questo tipo, volto a migliorare la trasparenza degli autonomi, dovrebbe essere quindi utilizzato soprattutto da chi evade o dichiara meno introiti di quelli effettivi.

Ma qui arrivano le ultime statistiche: ad aderire a questo strumento è solamente l’11% degli aventi diritto, segnale che, alla luce dei calcoli visti sopra, gli evasori sono molti meno di quelli indicati dalle analisi ufficiali del MEF.

Lo Stato può fare realmente cassa con il concordato preventivo?

Un punto da evidenziare riguarda l’effettivo vantaggio per lo Stato nell’applicazione del concordato preventivo biennale. Lo strumento è stato messo a punto per garantire che almeno una quota di tasse venga pagata dagli autonomi, ovvero quella concordata con il fisco.

Secondo i dati più recenti, hanno aderito al 31 ottobre 2024 solo 500.000 partite IVA, tenendo conto che in Italia ci sono 1.847.265 partite IVA forfettarie e 2.732.989 contribuenti ISA.

Il versamento complessivo in termini di tasse legato al concordato è di 1,3 miliardi di euro, contro i 2 miliardi stimati allo Stato con l’introduzione della misura. Nella pratica il versamento medio per ogni soggetto aderente è di soli 2.600 euro, una cifra comunque molto bassa.

Lo strumento, almeno fino ad ora, non avrebbe portato a risultati convenienti neanche per le casse dello Stato, tenendo conto della bassissima adesione, per cui molti parlano di un vero e proprio flop.

Concordato preventivo biennale: un’incognita per le partite IVA

Un fattore da considerare è anche la propensione delle partite IVA all’adesione a questo tipo di strumento per il pagamento delle imposte. Molti dubbi possono effettivamente sorgere a proposito della possibile scelta di questo strumento: è realmente conveniente? Qual è il rischio per le imprese? Quali sono i costi da sostenere?

Nonostante il governo abbia portato avanti una vera e propria campagna di informazione su questo tema e in generale contro l’evasione fiscale, le partite IVA hanno dimostrato tramite bassa adesione al concordato di essere scettiche sui suoi vantaggi.

Per molti infatti lo strumento si è dimostrato una vera e propria incognita, oltre ad un rischio evitabile semplicemente versando le imposte come si è sempre fatto. Alla luce degli ultimi dati poi, si può intuire che chi non evade semplicemente non ha bisogno del concordato preventivo biennale, mentre chi evade difficilmente considera un accordo con il fisco.

L’incognita e l’incertezza intorno a questo strumento si sono mostrati anche nella procedura stessa di adesione: oltre a rispettare le condizioni di ingresso (tra cui non avere debiti superiori a 5.000 euro) le partite IVA dovevano informarsi e farsi affiancare quasi necessariamente da un consulente fiscale, per un supporto sulla determinazione dei redditi degli anni precedenti e per la procedura telematica, con costi annessi all’operazione.

Un processo che molti hanno semplicemente scelto di evitare, prediligendo il pagamento normale delle imposte in base al proprio regime fiscale e alla situazione particolare.

Proroga al concordato preventivo biennale: le ipotesi

A fronte dei risultati ottenuti, il governo sta ipotizzando di portare in avanti la scadenza dei termini per l’adesione al concordato, per dare ulteriore tempo alle partite IVA di informarsi ed eventualmente scegliere questa opzione. Per il momento l’ipotesi più probabile è quella di una proroga al 10 dicembre 2024.

L’obiettivo sarebbe quello di raggiungere 2 miliardi di euro, risorse necessarie a procedere con altre misure di tipo fiscale previste dalla Legge di Bilancio 2025. Secondo le prime ipotesi, per poter aderire a questo secondo round della misura bisogna aver presentato correttamente la propria dichiarazione dei redditi entro il 31 ottobre 2024.

La possibilità di riaprire i termini è appoggiata sia dalle associazioni di Commercialisti che da Confartigianato, che supportano la proroga nell’ottica di avere più tempo per informare gli autonomi e procedere.

I controlli del fisco sulle partite IVA

Un altro dato da evidenziare riguarda il numero di controlli a cui le imprese e in generale le partite IVA in Italia sono sottoposte. Le verifiche del fisco e delle altre autorità preposte hanno l’obiettivo di favorire la trasparenza fiscale e la regolarità nei versamenti e negli ultimi anni sono stati molteplici, ulteriore fattore che disincentiva l’evasione fiscale in Italia tra gli autonomi.

In tabella abbiamo indicato quante verifiche sono state effettuate nel 2023 solamente dall’Agenzia delle Entrate, segnale che i controlli ci sono e non sono pochi, anche di diversa tipologia.

Tipo controlloNumero di controlli nel 2023
Comunicazioni di irregolarità3.225.893
Accertamenti su imposte dirette, Iva e Irap351.905
Accertamenti sull’imposta di registro6.808
Controlli sui crediti di imposta8.834
Controlli su contributi a fondo perduto4.436
Controlli formali a campione33.108

A questi bisogna anche aggiungere le verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza, per un totale di 424,084 e da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, l’INPS e l’INAIL, con 260.440 controlli nel 2023.

  1. Concordato, mezzo flop? Sì, perché c’è molta meno evasione di quella stimata, 9 novembre 2024, Ufficio Studi CGIA di Mestre ↩︎
  2. Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva dell’anno 2024, MEF, mef.gov.it ↩︎

Autore
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Valeria Oggero

Giornalista

Giornalista pubblicista, laureata in Scienze della Comunicazione all'Università degli Studi di Torino, da sempre sono appassionata di scrittura. Dopo alcune esperienze all'estero, ho deciso di approfondire tematiche inerenti la fiscalità nazionale relativa alle persone fisiche ed alle Partite Iva. La curiosità mi ha portato a collaborare con agenzie web e testate e a conoscere realtà anche diversissime tra loro, lavorando come copywriter e editor freelancer.

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