- All’inizio del 2020, la pandemia di COVID-19 ha prodotto sostanziali trasformazioni nello stile di vita globale, influenzando profondamente anche il mercato del lavoro attraverso l’adozione massiccia dello smart working.
- Dopo aver registrato un picco nel 2021, la tendenza mostra una leggera diminuzione, ma i dati indicano una stabilizzazione del telelavoro a livelli superiori rispetto al periodo pre-pandemico.
- Stando all’ultimo rapporto BES 2023 dell’ISTAT, esistono notevoli variazioni nelle percentuali di adozione dello smart working, influenzate da fattori quali genere, età, ubicazione geografica e settore.
All’inizio del 2020, la pandemia da COVID-19 ha segnato trasformazioni sostanziali nello stile di vita di miliardi di persone a livello globale, influenzando profondamente anche il mercato del lavoro con l’introduzione diffusa dello smart working.
Sebbene il lavoro da casa non fosse un’innovazione assoluta, essendo già praticato da una nicchia di lavoratori anche prima della pandemia, l’emergenza sanitaria ha accelerato notevolmente la sua adozione su larga scala.
Ora, a quattro anni dall’inizio di questa evoluzione e dopo aver registrato un picco nel numero di lavoratori a distanza, si osserva un calo della tendenza, ma i dati indicano comunque una stabilizzazione del telelavoro a livelli decisamente superiori rispetto al periodo pre-pandemico. Esaminiamo in dettaglio le statistiche più recenti sullo smart working dal rapporto BES 2023 dell’ISTAT.
Indice
Smart working in calo: tutti i dati
Se gli anni della pandemia hanno visto una crescita esponenziale dello smart working, che ha raggiunto il suo apice nel 2021 con il 14,8% degli occupati che lavoravano da casa, questo aumento non è stato altro che una diretta conseguenza delle misure di distanziamento sociale imposte per contenere la diffusione del virus.
Con il progressivo controllo della situazione pandemica e il ritorno a condizioni di lavoro più tradizionali, si è infatti assistito a un ridimensionamento di questa pratica.
Nel 2022, la percentuale di lavoratori che ha svolto attività lavorative da casa è scesa di 2,6 punti percentuali rispetto al picco del 2021. L’anno successivo, nel 2023, la percentuale ha subito una ulteriore, seppur minima, riduzione, passando dal 12,2% al 12,0%, indicando che poco più di 2,8 milioni di lavoratori hanno continuato a operare in modalità remota.
Nonostante il lieve, ma costante calo, questo dato mostra comunque una stabilizzazione del fenomeno a livelli nettamente superiori rispetto a quelli pre-pandemici, suggerendo che lo smart working potrebbe aver acquisito un carattere più strutturale all’interno del mercato del lavoro nel nostro paese.
Le donne lavorano di più da casa
Oltre alla tendenza generale di andamento dello smart working, è fondamentale esaminare alcuni aspetti chiave per capire come questa modalità lavorativa sia gestita e percepita dai lavoratori oggi, nel contesto della normalizzazione post-emergenza.
Il primo è quello che riguarda il genere. Nel 2023, la quota di donne che lavorano da casa è stata superiore rispetto a quella degli uomini, con un 13,4% di lavoratrici da remoto contro l’11,0% dei lavoratori.
Uno scarto che dimostra, nonostante si sia ridotto rispetto agli anni precedenti, una maggiore propensione o necessità per le donne di sfruttare le opportunità offerte dal lavoro da casa, forse per conciliare meglio gli impegni lavorativi con quelli familiari e personali. Purtroppo, le donne lavoratrici svolgono ancora il 61,6% del lavoro domestico.
Interessanti anche i rilevamenti per quanto riguarda le fasce d’età: si nota infatti una prevalenza del lavoro da casa tra le persone di età compresa tra i 35 e i 44 anni, con una percentuale del 13,3%.
Un dato che contrasta con la situazione osservata durante gli anni della pandemia, quando erano gli occupati di età superiore ai 60 anni a registrare le percentuali più elevate di smart working, essendo la fascia demografica più vulnerabile al COVID.
Dal 2022 in poi, si è visto tuttavia un decremento sostanziale per questa fascia, con una riduzione di oltre 4,5 punti percentuali. Coloro che hanno età compresa tra 35 e 44 anni, quindi, hanno incorporato lo smart working nella propria routine lavorativa più di tutti.
Smart working: differenze territoriali
L’analisi ISTAT ha anche preso in considerazione le differenze territoriali nell’adozione dello smart working:
- nel Centro, la percentuale si attesta al 15,0%, la più alta tra le tre aree geografiche;
- a Nord si mostra una propensione simile verso il lavoro da casa, con una percentuale del 13,2%;
- il Mezzogiorno mostra una percentuale sostanzialmente inferiore: solo il 7,4% adotta questa modalità.
I settori più favorevoli allo smart working
Alcuni lavori sono più adattabili allo smart working di altri. In particolare, il settore dell’informazione e della comunicazione hanno il più alto tasso di lavoro remoto, con il 57,6% dei dipendenti da casa. Nonostante un calo di 1,4 punti percentuali nel 2023, questo rimane il settore con la maggiore incidenza dello smart working.
Altro ambito con altissime percentuali di lavoratori in remoto è quello delle attività finanziarie e assicurative, che mantiene una quota stabile del 37,3%.
In questi campi, la natura dell’attività, centrata sull’elaborazione di dati e informazioni e sulla consulenza clienti, si presta bene all’adozione di modalità di lavoro flessibili ed offre spesso la possibilità di operare efficacemente anche al di fuori degli uffici tradizionali.
Francesca Di Feo
Redattrice Partitaiva.it