Pinkwashing nel marketing: una pratica scorretta diffusa

La pubblicità ingannevole del pinkwashing: cos'è questa pratica scorretta, come riconoscerla e cosa sapere.

Revisione a cura di Giovanni EmmiDottore CommercialistaSu PartitaIva.it ci impegniamo al massimo per garantire informazioni accurate. Gli articoli vengono costantemente revisionati da professionisti del settore.

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pinkwashing cosa e
  • Il colore rosa, un tempo emblema di frivolezza femminile, si è trasformato in un potente simbolo di emancipazione attraverso i secoli.
  • Nella pratica del pinkwashing, le aziende adottano l’immagine dell’empowerment femminile in modo superficiale per fini commerciali, senza un reale sostegno alle questioni di genere.
  • Con il passare degli anni, il termine ha assunto una valenza critica verso aziende che, pur sostenendo cause femministe, mantengono pratiche contrarie ai principi di uguaglianza e benessere femminile, un paradosso evidenziato sin dalle prime controversie sul cancro al seno.

Negli anni, il colore rosa è passato dall’essere un emblema della frivolezza femminile a un simbolo potente che, attraversando i secoli, oggi incarna l’evoluzione e le sfide dell’emancipazione.

Tuttavia, quando il marketing si intreccia con i movimenti sociali, il rosa si trova spesso al centro di una strategia più ambigua e controversa, che arriva perfino a pratiche scorrette da parte delle aziende.

Qui entra in scena il concetto di pinkwashing, una pratica che, sebbene avvolta in una veste di sostegno alle cause femministe, cela spesso un opportunismo aziendale che ne sfrutta i valori per fini commerciali.

Cos’è il Pinkwashing

Il termine pinkwashing è una contrazione di “pink“, che sta per rosa e “whitewashing“, che significa imbiancare. Si riferisce a una tattica di marketing in cui le aziende si appropriano del simbolismo legato all’emancipazione femminile e alle cause delle donne per promuovere i loro prodotti o la brand image.  

Questo si traduce nell’adozione di messaggi e simboli femministi in maniera superficiale, spesso senza un sostegno concreto o un impegno genuino verso le questioni di genere, che le aziende fingono di sostenere.

Il pinkwashing si manifesta in vari modi: dalle campagne pubblicitarie che utilizzano la retorica dell’empowerment femminile, fino alla produzione di prodotti specifici per la vendita o il sostegno dichiarato a iniziative durante specifici eventi o mesi tematici, come quello della salute della donna.

Nonostante queste azioni possano apparire positive in superficie, il pinkwashing viene criticato quando le aziende non praticano ciò che predicano, ovvero quando non investono in maniera significativa nelle cause che sostengono di supportare o quando le loro operazioni e la loro catena di fornitura contraddicono i principi dell’uguaglianza di genere.

Un caso emblematico, in questo senso, è quello di Shein1: la strategia di marketing aziendale promuove un messaggio di empowerment e di emancipazione, mentre le dipendenti svolgono turni pesanti e senza sufficienti tutele.

Il pinkwashing quindi si nutre dell’immagine progressista e dell’attivismo, senza impegnarsi per un cambiamento sostanziale: una strategia di facciata che mira ad attirare i consumatori che si identificano con i valori della parità di genere, della giustizia sociale e dell’empowerment. Ma che potrebbe nascondere pratiche aziendali discutibili o una mancanza di politiche interne che sostengano veramente le donne e le questioni femministe.

Il Pinkwashing nella pubblicità

pinkwashing esempi

Le campagne pubblicitarie che esibiscono messaggi femministi o utilizzano il colore rosa per collegarsi simbolicamente all’emancipazione femminile possono avere un impatto significativo sull’immagine di un marchio.

Questi messaggi sono studiati per risuonare con il pubblico che sostiene l’uguaglianza di genere, ma spesso non sono accompagnati da azioni aziendali concrete a sostegno delle donne.

Un esempio lampante di pinkwashing pubblicitario è l’utilizzo di slogan come “girl power” o immagini di donne iconiche per vendere prodotti: se l’azienda che sta dietro a queste pubblicità non pratica l’equità di genere nei suoi salari, nelle sue politiche di assunzione o nelle sue pratiche di produzione, allora si tratta chiaramente di pinkwashing.

Un altro aspetto del pinkwashing nella pubblicità è la temporaneità delle campagne. Durante eventi specifici, come la Giornata Internazionale della Donna o il mese della consapevolezza del cancro al seno, diverse aziende pianificano campagne pubblicitarie ad hoc.  

Tuttavia, l’attivismo di facciata scompare rapidamente una volta terminato il periodo promozionale, suggerendo che l’impegno per le questioni femministe sia meramente occasionale, utile ad attrarre un maggior numero di clienti e quindi non un principio aziendale radicato.

Le campagne pubblicitarie che praticano il pinkwashing spesso non riflettono o contribuiscono a risolvere le reali preoccupazioni e le battaglie delle donne.

Esempi di Pinkwashing

Il dibattito sul pinkwashing prese piede all’inizio degli anni 2000, quando emerse una forte polemica legata alle campagne sulla prevenzione del cancro al seno.

Il termine venne coniato di fronte alla paradossale realtà di aziende, in particolare nel campo della cosmetica, che da un lato vendevano prodotti potenzialmente nocivi e dall’altro sostenevano iniziative di sensibilizzazione sulla salute femminile. Questa contraddizione portò all’uso del termine come modo per smascherare l’ipocrisia di tali pratiche.

Un esempio storico di pinkwashing è infatti legato all’uso del nastro rosa, simbolo della lotta contro il cancro al seno. Le aziende hanno iniziato a produrre una miriade di prodotti con questo simbolo, promettendo una parte dei ricavati alla ricerca sul cancro.

Tuttavia, in molti casi, le donazioni erano minime o le pratiche aziendali erano incoerenti con i valori di salute e benessere che il nastro doveva rappresentare.

Il Pinkwashing oggi

Negli anni più recenti, abbiamo visto diverse aziende di abbigliamento che producono magliette con slogan femministi senza supportare attivamente le cause delle donne nei loro processi produttivi o nella cultura aziendale.

Il pinkwashing si manifesta anche quando le aziende si impegnano in campagne di marketing femministe solo durante specifici periodi dell’anno, come il mese della donna, senza poi mantenere un impegno concreto durante il resto dell’anno.

In questi esempi, il pinkwashing diventa uno strumento per distogliere l’attenzione da pratiche aziendali non etiche o per sfruttare la buona volontà dei consumatori senza fornire un reale contributo alla causa che si dichiara di sostenere.

La differenza tra Pinkwashing e Rainbow Washing

Il pinkwashing e il rainbow washing sono entrambi termini che descrivono pratiche di marketing ingannevoli, ma si applicano a due contesti diversi di attivismo e di diritti civili. Il pinkwashing, come discusso, si concentra sull’appropriazione dell’attivismo femminista e delle questioni di genere.

Il rainbow washing, d’altra parte, è una pratica simile ma orientata verso la comunità LGBTQIA+. Qui, le aziende utilizzano l’immaginario e i simboli dell’arcobaleno o altri elementi associati alla comunità LGBTQIA+ per apparire inclusivi e progressisti.

Questo può includere campagne pubblicitarie che mostrano coppie dello stesso sesso durante il Pride Month o la vendita di prodotti con i colori dell’arcobaleno. In tantissimi casi, il sostegno è superficiale, limitato al solo mese del Pride, o non supportato da politiche aziendali che promuovono realmente l’inclusività o che proteggono i diritti dei lavoratori LGBTQ+.

Entrambe le pratiche sono criticate per il modo in cui sfruttano le cause sociali per scopi commerciali senza un impegno vero e proprio. La differenza fondamentale tra i due risiede nel gruppo target di riferimento.

Come difendersi dal Pinkwashing

Per contrastare il pinkwashing, consumatori e attivisti devono essere informati e vigili. È fondamentale comprendere le vere questioni femministe e riconoscere quando un’azienda offre davvero un sostegno autentico alle donne.

In questo senso, investigare sulla storia delle aziende e le loro politiche di genere, preferendo quelle con un impegno dimostrato nelle cause femminili e collaborazioni con enti non profit, è essenziale.

È altrettanto importante verificare la presenza di certificazioni di responsabilità sociale e partecipare attivamente alla discussione pubblica per smascherare quelle aziende che sfruttano i movimenti per i diritti sociali per vendere qualche prodotto in più.

Seguire la trasparenza e usare il potere d’acquisto per supportare pratiche eque può cambiare il panorama aziendale, sminuendo di fatto il vantaggio del pinkwashing e valorizzando l’impegno reale verso l’uguaglianza di genere.

Pinkwashing nel marketing – Domande frequenti

Cos’è il pinkwashing?

Il pinkwashing è una pratica di marketing in cui un’organizzazione si presenta come sostenitrice dei diritti delle donne e della parità di genere per fini promozionali, senza tuttavia impegnarsi attivamente o sostanzialmente in queste cause.

Perché le aziende fanno Pinkwashing?

Le aziende adottano il pinkwashing come strategia di marketing per approfittare dell’interesse e del sostegno del pubblico verso le cause sociali, in questo caso l’uguaglianza di genere. Attraverso il pinkwashing, mirano a migliorare la loro immagine pubblica e a incrementare le vendite presentandosi come progressiste e sensibili ai diritti femminili, spesso senza effettuare cambiamenti significativi o investimenti nelle questioni che affermano di sostenere.

Il pinkwashing è legale?

Non esistono leggi specifiche contro il pinkwashing, ma è considerato una forma di pubblicità ingannevole. In alcuni paesi, le autorità di regolamentazione della pubblicità possono intervenire se una campagna pubblicitaria è fuorviante. Tuttavia, le leggi variano in base al contesto giuridico e geografico. Scopri di più qui.

Come posso verificare se un’azienda è colpevole di pinkwashing?

Per verificare l’autenticità dell’impegno di un’azienda, è possibile esaminare la sua storia e prassi in materia di diritti delle donne, controllare se offre uguali salari e opportunità di avanzamento, e se sostiene con azioni concrete le cause femminili, oltre a valutare le recensioni e i rapporti di sostenibilità.

  1. “Shein suppliers’ workers doing 75-hour week, finds probe”, BBC News, Bbc.com ↩︎
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Francesca Di Feo

Redattrice Partitaiva.it

Classe 1994, immediatamente dopo gli studi ho scelto di intraprendere una carriera nel Project Management in ambito di progetti Erasmus+ per EPS. Questo mi ha portato ad approfondire in particolare le tematiche inerenti alla fiscalità delle PMI, anche se la mia area di expertise risulta oggi molto più ampia in questo ambito. Oggi sono copywriter freelance appassionata di scrittura e di innovazione per le piccole e medie imprese.
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Giovanni Emmi
Dottore Commercialista
Revisione al 16 Novembre 2023
Commercialista dal 🧗🏾‍♀️secondo millennio, innovatore professionale nel terzo millennio🏃🏾‍♂️. Il futuro della professione del commercialista nel mio ultimo libro "dalla società alla rete tra professionisti".

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